Il cambiamento climatico entra a pieno titolo tra i principali fattori di rischio finanziario. Oggi, banche e imprese devono imparare a tenerne conto quando concedono o richiedono un prestito, per garantire stabilità e sostenibilità nel corso del tempo.
Negli ultimi anni è emerso chiaramente che eventi come alluvioni, siccità o incendi possono ridurre la produttività delle imprese, danneggiare asset immobiliari e compromettere intere filiere. Allo stesso tempo, la transizione verso un’economia più “verde” comporta cambiamenti radicali nei settori ad alte emissioni, che possono perdere valore o diventare meno competitivi. Per le banche questo significa avere portafogli di credito più esposti a insolvenze o a garanzie (come immobili e terreni) che rischiano di valere meno.
La vera difficoltà, però, è l’incertezza. Senza dati solidi, anche i modelli più sofisticati non riescono a restituire valutazioni affidabili. Secondo il Laboratorio REF, infatti, molte banche faticano a raccogliere informazioni dirette sulle emissioni delle aziende a cui concedono credito e si basano su dati generici di settore, riducendo l’accuratezza delle valutazioni. Nonostante il 60% del margine di interesse bancario derivi da settori ad alta intensità di emissioni, gran parte degli istituti non dispone ancora di strumenti adeguati a valutare l’esposizione complessiva al climate risk.
L’Unione Europea ha imposto un’accelerazione su questo fronte e con il Piano d’Azione per la crescita sostenibile ha fissato tre obiettivi chiave. Primo, orientare i capitali verso investimenti “green”. Secondo, integrare i criteri ESG nella gestione del rischio. Terzo, garantire maggiore trasparenza. La BCE e l’EBA hanno chiesto alle banche di includere i rischi climatici nei modelli di valutazione del credito. Ma la realtà è che, sebbene oltre l’80% delle banche riconosca l’importanza del climate risk, solo una piccola parte lo ha davvero inserito nei propri sistemi interni.
Non bisogna, però, guardare al clima solo come una minaccia, esso è anche un’opportunità. Strumenti come green bond e prestiti legati a obiettivi ESG permettono di premiare le aziende più attente all’ambiente, selezionare partner più solidi e virtuosi, e differenziare i tassi di interesse. In questo modo le banche rafforzano i propri portafogli e, allo stesso tempo, contribuiscono alla transizione ecologica.
In questo scenario, integrare il rischio climatico nelle decisioni di credito è diventato oggi una leva strategica. Le imprese devono prepararsi a un futuro in cui la sostenibilità sarà una condizione imprescindibile per l’accesso ai finanziamenti. Al tempo stesso, le banche possono trasformare i rischi ambientali in valore competitivo e fiducia nei confronti del mercato.
La sfida è aperta: sapremo trasformare l’urgenza climatica in un motore di innovazione finanziaria e crescita sostenibile, o resterà un fattore di vulnerabilità per l’intero sistema economico?