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Imprese femminili

Imprese femminili: in Italia nel 2024 sono 1 milione e 300mila le aziende guidate da donne

Sono 1,3 milioni le imprese femminili attive in Italia nel 2024, pari al 22,2% del totale nazionale. Più istruite, motivate e attente al benessere dei collaboratori, le imprenditrici italiane guidano un tessuto produttivo maturo ma ancora frenato da limiti strutturali. A rivelarlo è l’ultimo rapporto di Unioncamere e Tagliacarne, parte del Piano Nazionale dell’Imprenditoria Femminile.

Imprese femminili tra competenza e motivazione: un modello di leadership consapevole

Secondo il rapporto realizzato da Unioncamere, con il supporto del Centro Studi Tagliacarne e di Sicamera, le imprese femminili rappresentano una componente vitale e crescente del sistema produttivo nazionale.
Nel 2024 si contano 1 milione e 300mila aziende guidate da donne, in aumento dello 0,4% rispetto al 2014, una quota che raggiunge il 22,2% del totale delle imprese italiane.

Le donne che scelgono di fare impresa si distinguono per un livello di istruzione più elevato. Il 25% delle imprenditrici, infatti, è laureato, contro il 21% degli uomini. Il 37% avvia un’attività per scelta e autorealizzazione, non per mancanza di lavoro dipendente, delineando un profilo di leadership consapevole e orientata alla qualità.

Un dato particolarmente significativo riguarda il capitale umano. Il 28% delle imprese femminili adotta misure di conciliazione tra vita privata e lavoro, contro il 22% delle aziende non femminili. Quando la leadership è laureata, l’attenzione al welfare cresce fino al 40%. Un segnale di come la formazione e la visione inclusiva si traducano in scelte aziendali concrete e sostenibili.

Un potenziale ancora inespresso: piccole dimensioni e limiti strutturali

Nonostante la crescita costante e la maturità dimostrata, le imprese femminili continuano a scontare alcuni limiti strutturali. La quasi totalità, ossia il 96,2%, è costituita da microimprese con meno di dieci addetti e la produttività media è inferiore del 60% rispetto a quella delle imprese non femminili.

Il 74% delle imprenditrici utilizza capitale proprio o familiare per l’avvio dell’attività. Una scelta che, se da un lato garantisce maggiore stabilità iniziale, dall’altro frena la crescita e la propensione a investire.
Eppure, quando decidono di accedere al credito bancario, le imprenditrici dimostrano grande capacità di investimento. L’80% delle aziende femminili che ricorre al credito bancario destina i fondi a beni tangibili o all’ammodernamento organizzativo, contro il 70% di quelle che si autofinanziano.

A livello territoriale, Roma si conferma la prima provincia italiana per numero di imprese femminili, con quasi 100mila aziende attive, pari a un quinto del totale.

Incentivi, credito e formazione: la chiave per il salto di qualità

Il rapporto Unioncamere indica con chiarezza la direzione per il futuro delle imprese femminili: maggiore accesso al capitale, formazione e sostegno pubblico.
Le donne imprenditrici mostrano un’elevata propensione a utilizzare incentivi. Il 27% li ha già richiesti e il 19% intende farlo, contro il 23% e il 18% delle imprese non femminili. Tra le misure più utilizzate figurano i contributi regionali, il credito d’imposta e gli incentivi gestiti da Invitalia, scelti dal 15% delle imprenditrici.

L’impatto dell’accesso al credito e della formazione è evidente. Le imprese femminili che utilizzano finanziamenti e incentivi pubblici registrano una produttività del lavoro superiore del 33% rispetto a quelle che si autofinanziano. La crescita arriva al +40% quando investono anche nel capitale umano.

Questi risultati dimostrano che l’imprenditoria femminile italiana possiede una straordinaria capacità di evoluzione, purché sostenuta da strumenti adeguati. Come ribadisce Prete, le imprenditrici chiedono maggiore semplificazione nell’accesso agli incentivi, ma la loro attenzione e reattività verso le opportunità pubbliche rappresentano già un segnale di grande maturità economica e gestionale.

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