La crescente difficoltà nel misurare la ricchezza nazionale, sempre più immateriale, sta portando a continue revisioni al rialzo del PIL italiano. Questo fenomeno solleva interrogativi cruciali sull’adeguatezza degli strumenti statistici tradizionali e sulle implicazioni per la narrazione economica del Paese.
La trasformazione della ricchezza e le difficoltà statistiche
Negli ultimi anni, l’Istat ha dovuto rivedere al rialzo l’incremento del prodotto interno lordo (PIL) italiano, a causa della crescente difficoltà nel misurare la nuova natura della ricchezza nazionale, sempre più immateriale. Questa sfida non riguarda solo l’Italia, ma è comune a tutte le economie avanzate, dove la digitalizzazione e la smaterializzazione dei processi produttivi rendono complesso il lavoro degli istituti statistici.
La revisione straordinaria del PIL: cause e implicazioni
Nel settembre scorso, l’Istat ha effettuato una revisione straordinaria dei conti economici, in linea con l’Eurostat e gli uffici statistici degli altri Paesi membri. In questa occasione, il livello del PIL a prezzi correnti per il 2021 è stato corretto al rialzo dell’1,1%, mentre per il 2023 la revisione è stata del 2%. Questo incremento non è banale: deriva da una migliore disponibilità di dati e da una metodologia di calcolo più raffinata, ma riflette anche la difficoltà di cogliere pienamente il valore generato da settori che sfuggono alle metriche tradizionali.
Le stime preliminari sull’andamento del primo trimestre 2025 confermano questa tendenza, con un aumento dello 0,3% rispetto alle stime precedenti. Anche la revisione dell’ultimo trimestre 2024 ha portato a un incremento compreso tra lo 0,1% e lo 0,2%. Questi aggiustamenti, apparentemente marginali, hanno però un impatto significativo sulla percezione della crescita e sulla valutazione della sostenibilità del debito pubblico.
Il dilemma del terziario: una ricchezza sottostimata
Uno dei nodi centrali riguarda la sottostima del contributo del settore terziario, che rappresenta circa il 70% dell’output nazionale. Secondo Cipolletta e De Nardis, autori di un saggio sul tema, riportato dal Corriere Economia del 5 maggio 2025, questa sottovalutazione deriva dalla difficoltà di misurare la produzione di servizi e beni immateriali, che spesso non lasciano tracce fisiche o flussi di produzione facilmente rilevabili.
La statistica ufficiale tende a essere più precisa per l’industria, dove la granularità dei dati e la disponibilità di informazioni sono maggiori. Nel terziario, invece, la produzione è frammentata e spesso non tracciata, con il risultato che il valore aggiunto generato è sistematicamente sottostimato. Questo fenomeno produce un pregiudizio negativo sulla percezione dell’economia italiana, difficile da correggere anche a posteriori.
L’economia digitale e la sfida della misurabilità
La crescente importanza dell’economia digitale e immateriale rende ancora più complesso il compito degli istituti statistici. Come evidenziato da un’inchiesta dell’Economist (dal significativo titolo “Bog Data” letteralmente “la palude dei dati), il problema non riguarda solo l’Italia: tutti i principali Paesi avanzati stanno affrontando difficoltà simili nella raccolta e nell’elaborazione dei dati economici.
La digitalizzazione ha ridotto la disponibilità di informazioni sulle imprese e sugli individui, rendendo più difficile la misurazione del valore aggiunto e la stima della produttività. L’adesione delle imprese alle rilevazioni statistiche è spesso incompleta, e la qualità dei dati ne risente. In questo contesto, le revisioni statistiche sono diventate più frequenti e profonde rispetto al passato.
Le revisioni del PIL
Il fenomeno delle revisioni statistiche non è nuovo, ma negli ultimi decenni ha assunto una rilevanza crescente. Dal 1987, ad esempio, la revisione del PIL nominale italiano è stata in media del 18%. Nel 2014, una correzione consistente – dovuta anche all’inclusione dell’economia illegale nelle stime – ha fatto salire il PIL del 3,7%.
Queste revisioni, pur migliorando la precisione delle statistiche, generano spesso polemiche e incomprensioni, soprattutto quando vengono effettuate a posteriori e modificano retroattivamente la narrazione economica del Paese. Il rischio è quello di produrre una percezione sistematicamente negativa, difficile da correggere anche quando i dati migliorano.
Il confronto internazionale: Italia, Germania e Francia
Un confronto con Germania e Francia, basato su dati standardizzati in termini di potere d’acquisto, mostra che l’Italia presenta valori inferiori sia per PIL pro capite sia per PIL per occupato. Tuttavia, questa distanza potrebbe essere almeno in parte spiegata dalla sottostima del valore aggiunto generato dal terziario e dall’economia immateriale.
Se il settore dei servizi fosse misurato con la stessa accuratezza dell’industria, i risultati sarebbero probabilmente più favorevoli per il sistema italiano. La mancanza di dati granulari e aggiornati penalizza la rappresentazione statistica del Paese, influenzando negativamente anche la percezione internazionale.
Indici di produzione e margini di errore
L’indice di produzione industriale, che si basa su circa 9.500 flussi di produzione mensili comunicati da 5.700 unità d’impresa, è molto più preciso rispetto agli indicatori relativi ai servizi. Nell’industria, il peso della produzione ad alto valore aggiunto è solo il 17%, mentre nei servizi la domanda non è sempre individuabile e spesso avviene online, senza tracciabilità.
Questa asimmetria nella disponibilità di dati produce margini di errore significativi nelle stime iniziali della contabilità nazionale. Il rischio è quello di sottovalutare la produttività e la competitività del sistema economico, con conseguenze sulle politiche pubbliche e sulle strategie di investimento.
Implicazioni per la politica economica
Valutazioni statistiche non corrette possono generare polemiche infondate e condurre a decisioni di politica economica sbagliate, oltre a produrre ritardi dannosi per il sistema Paese. Un esempio emblematico è rappresentato dal passaggio all’euro: in quella fase, un errore di lettura nell’andamento dei volumi e dei prezzi delle esportazioni portò a una narrazione distorta. Si sostenne a lungo che gli imprenditori italiani, non potendo più beneficiare delle svalutazioni competitive, aumentassero i prezzi per difendere i margini di profitto, invece di affrontare la concorrenza internazionale.
In realtà, come sottolinea Cipolletta, molte imprese stavano spostando la produzione su beni a più alto valore aggiunto, con effetti positivi su reddito e occupazione. Tuttavia, la sottostima sistematica della produttività e del valore aggiunto generato dai servizi ha contribuito a consolidare una percezione negativa, difficile da correggere anche quando i dati vengono successivamente rivisti al rialzo.
Le implicazioni di questa distorsione sono molteplici. Da un lato, una narrazione economica basata su dati sottostimati può influenzare negativamente la fiducia degli investitori, la valutazione delle agenzie di rating e le decisioni delle istituzioni internazionali. Dall’altro, può alimentare un clima di sfiducia interna, minando l’autostima collettiva e la coesione sociale. Il rischio è che le politiche pubbliche vengano orientate da un quadro statistico che non riflette la reale vitalità e competitività del sistema produttivo, penalizzando settori strategici proprio nel momento in cui avrebbero bisogno di maggiore sostegno e attenzione.
La comunicazione istituzionale
Un altro aspetto cruciale riguarda la comunicazione istituzionale. La difficoltà nel rappresentare correttamente il valore generato dall’economia immateriale e dai servizi impone agli enti statistici e ai policy maker uno sforzo aggiuntivo nella divulgazione e nell’interpretazione dei dati. È necessario spiegare con chiarezza i limiti e le potenzialità delle stime, valorizzando i processi di revisione come strumenti di affinamento e non come segno di incertezza o di inefficienza. Solo così si può promuovere una narrazione più equilibrata e aderente alla realtà, in grado di sostenere le scelte strategiche del Paese e di rafforzare la fiducia degli stakeholder nazionali e internazionali.
Verso una nuova cultura della misurazione del PIL
L’evoluzione dell’economia italiana, sempre più orientata verso i servizi e l’immateriale, richiede dunque una profonda revisione degli strumenti di misurazione e delle metodologie statistiche. La sottostima del valore aggiunto prodotto dal terziario e dai settori digitali non è solo una questione tecnica, ma ha ripercussioni dirette sulla percezione della crescita, sulla sostenibilità del debito pubblico e sulla capacità del Paese di attrarre investimenti e talenti.
Per affrontare questa sfida, è fondamentale investire in innovazione statistica, sviluppando indicatori più granulari e tempestivi, capaci di cogliere la complessità dell’economia contemporanea. Occorre inoltre rafforzare la collaborazione tra istituti di statistica, università, imprese e policy maker, al fine di costruire un quadro informativo più solido e affidabile. Solo così sarà possibile restituire un’immagine più fedele e positiva delle reali potenzialità del sistema Italia, superando pregiudizi e narrazioni distorte che rischiano di condizionare le scelte future.