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Slip maschili

Intimo maschile: un mercato che vale oltre 40 mld di dollari

Fra i trend di consumo che stanno emergendo recentemente si registra l’aumento della richiesta di prodotti di qualità nel comparto dell’intimo maschile. Settore che però in Italia vede sempre più spesso la produzione delocalizzata.

Intimo maschile: domanda in crescita del segmento premium

Il mercato globale dell’intimo maschile viene valutato oggi 40 miliardi di dollari e cresce a un ritmo del 5–6% annuo, superando la velocità di sviluppo del segmento femminile.

Un trend che ha radici in un cambiamento culturale ormai evidente: l’uomo presta sempre più attenzione alla propria immagine e al modo di vestire.

A trainare l’evoluzione del settore è soprattutto il segmento premium, che segna un incremento medio annuo del 6,3%. Crescono, in particolare, le aspettative in termini di qualità dei materiali, vestibilità e durata dei capi, mentre la diffusione dell’e-commerce accelera ulteriormente il fenomeno: con un ritmo del +7,4%, la vendita online conferma che gli uomini acquistano sempre più autonomamente e con maggiore interesse verso prodotti di livello superiore.

In questo scenario globalizzato, nonostante l’Italia sia riconosciuta come leader mondiale della moda, i brandi di intimo maschile di lusso totalmente Made in Italy scarseggiano. La maggior parte delle aziende del settore continua, infatti, a delocalizzare la produzione, privilegiando costi più bassi rispetto alla filiera nazionale.

Ne abbiamo parlato con Francesca Cutrone, CEO e Founder di Bertoldo, brand di intimo maschile 100% Made in Italy. 

Il mercato dell’intimo maschile sta crescendo più rapidamente di quello femminile, quali aspetti culturali stanno contribuendo a questa evoluzione?

Oggi l’intimo maschile cresce perché sta cambiando l’idea stessa di cura maschile. Gli uomini sono più attenti a comfort, qualità ed estetica. Quindi anche l’intimo – finalmente – smette di essere un acquisto automatico e diventa una scelta.

C’è poi un secondo fattore culturale, meno raccontato ma decisivo: la spinta delle donne. Negli ultimi anni si è chiesto agli uomini di prendersi più responsabilità, anche nelle cose quotidiane. E questo passa anche da ciò che indossano, da come si trattano: perché la cura verso sé è il prodromo della cura verso gli altri.
Il boom dell’intimo maschile premium riflette proprio questo: un uomo che sceglie meglio, anche quando nessuno lo vede.

Under 30 con una carriera nella comunicazione, cosa l’ha spinta a fondare Bertoldo?

Ho lavorato per anni nella comunicazione e nei media, raccontando brand, persone e storie. A un certo punto mi sono resa conto che mancava una storia che parlasse agli uomini in modo diverso, partendo da qualcosa di intimo e quotidiano, ma carico di significato.

Bertoldo nasce da una domanda molto semplice: perché l’intimo maschile è rimasto così indietro, soprattutto in Italia? C’è una grande attenzione per l’abito, per la camicia, per il cappotto. Ma l’intimo è spesso trattato come un dettaglio secondario, quasi funzionale. Io credo invece che sia un atto di rispetto verso se stessi.

Volevo creare un brand che restituisse dignità, bellezza e carattere a un capo invisibile, senza retorica, con ironia e qualità vera. Da lì è nato Bertoldo.

E se posso essere onesta, la strada della comunicazione dell’intimo la trovo molto curiosa e interessante: oltre a divertirmi, non vedo l’ora di “sfruttare” l’intimo per parlare di consapevolezza, consenso e salute. Sono sicura che i prossimi passi con Bertoldo ci daranno delle belle soddisfazioni.

Per fare impresa servono capitali. Come è stato finanziato il lancio di Bertoldo? Ha potuto accedere a forme di credito o a finanziamenti agevolati?

Il lancio di Bertoldo è stato finanziato principalmente con capitale proprio. Ho scelto un approccio molto pragmatico: partire in modo sostenibile, controllando costi e volumi, senza forzare una crescita artificiale.

Sto valutando anche strumenti di finanza agevolata e bandi dedicati alle nuove imprese, ma credo sia importante non dipendere esclusivamente dal finanziamento esterno. Per me Bertoldo doveva prima dimostrare di funzionare come prodotto e come idea, prima ancora che come business plan.

Quali sono le principali sfide nel mantenere l’intera filiera produttiva in Italia?

La prima sfida è il costo, inevitabilmente più alto rispetto alla delocalizzazione. Ma produrre intimo Made in Italy significa anche fare una scelta di responsabilità.

Lavorare con vere aziende italiane vuol dire sostenere imprese che assumono persone, mantengono competenze e danno continuità al lavoro. Non si sostiene solo un prodotto, ma un ecosistema fatto di famiglie, territori e saper fare. È più complesso, richiede controllo e selezione della filiera, ma nel segmento premium è una differenza reale.

C’è poi un aspetto fondamentale che non può essere escluso: la qualità. L’intimo è il primo capo a contatto con la pelle, quello che indossi per più ore al giorno. La scelta dei materiali, delle lavorazioni e dei controlli fa una differenza reale sul comfort, sulla durata e sul benessere quotidiano. In questo, il Made in Italy resta un riferimento: per competenze tessili, cultura del prodotto e attenzione al corpo.

Oggi il Made in Italy non è solo un valore estetico: è un valore etico e industriale.

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