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Le dichiarazioni social e le responsabilità

Nell’era dei social il protagonismo e il diritto alla parola è esploso esponenzialmente lasciando in rete dichiarazioni, fotografie, commenti e provocazioni.

Internet dà la libertà di parola a tutti, raggiunge qualunque pensiero e sembra che ne legittimi l’espressione, qualsiasi sia il suo contenuto.
In questo mondo, ogni idea trova una sua giustificazione e le persone si convincono, così, di avere il diritto di esprimersi, qualsiasi sia il loro pensiero.
Tuttavia non è così. Vige la libertà di espressione sì, ma ognuno rimane responsabile di quello che dice, ed ancor di più di ciò che scrive, soprattutto se questo ha una risonanza pubblica e viene diffuso a macchia d’olio.
Ecco che i social diventano veri mezzi di diffusione e di pubblicità, visto che, sebbene siano nati con lo scopo di mettere in comunicazione persone fisicamente lontane, si sono trasformati in vere e proprie casse di risonanza che, se adeguatamente utilizzate, possono determinare il successo di persone, eventi e notizie.

Tutta questa prefazione per chiarire come all’interno dell’Ordine dei Giornalisti si stia discutendo sul ruolo dei social nell’informazione. Un ruolo che anche a livello deontologico è già stato regolarizzato ed individuato.

I social e in special modo Facebook sono stati paragonati a degli organi di stampa e come tali ne seguono le regole. O meglio, sono soggetti legalmente alle stesse leggi.

Vige quindi il diktat di querela e diffamazione. Non è vero che un post è espressione di libero pensiero, in quanto nel momento in cui il medesimo viene letto come offensivo e lesivo alla reputazione di una terza persona, quest’ultima può denunciarne l’autore. E non a Facebook, ma direttamente in Questura o attraverso avvocato.

L’offesa pubblicata in bacheca, e non a caso nel web si usa il termine pubblicare, è da considerarsi diffamazione aggravata, proprio per il fatto che è visibile ad un ampio raggio di persone. Inoltre, a causa delle caratteristiche del web, l’offesa suddetta non sarà mai più del tutto cancellabile.

La Suprema Corte con la sentenza n. 50/17 della sez. I Penale, nel confermare la competenza, nel caso di specie, del tribunale di Pescara ribadisce che la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di una bacheca "facebook" integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595 terzo comma cod. pen., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone; l'aggravante dell'uso di un mezzo di pubblicità, nel reato di diffamazione, trova, infatti, la sua ratio nell'idoneità del mezzo utilizzato a coinvolgere e raggiungere una vasta platea di soggetti, ampliando – e aggravando – in tal modo la capacità diffusiva del messaggio lesivo della reputazione della persona offesa, come si verifica ordinariamente attraverso le bacheche dei social network, destinate per comune esperienza ad essere consultate da un numero potenzialmente indeterminato di persone, secondo la logica e la funzione propria dello strumento di comunicazione e condivisione telematica, che è quella di incentivare la frequentazione della bacheca da parte degli utenti, allargandone il numero a uno spettro di persone sempre più esteso, attratte dal relativo effetto socializzante (Cass. n. 24431 del 28/04/2015).

La circostanza che l'accesso al social network richieda all'utente una procedura di registrazione – peraltro gratuita, assai agevole e alla portata di chiunque – non esclude la natura di "altro mezzo di pubblicità" richiesta dalla norma penale per l'integrazione dell'aggravante, che discende dalla potenzialità diffusiva dello strumento di comunicazione telematica utilizzato per veicolare il messaggio diffamatorio, e non dall'indiscriminata libertà di accesso al contenitore della notizia (come si verifica nel caso della stampa, che integra un'autonoma ipotesi di diffamazione aggravata), in puntuale conformità all'elaborazione giurisprudenziale della Suprema Corte che ha ritenuto la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 595 terzo comma cod. pen. nella diffusione della comunicazione diffamatoria col mezzo del fax (Sez. 5 n. 6081 del 9/12/2015) e della posta elettronica indirizzata a una pluralità di destinatari (Sez. 5 n. 29221 del 6/04/2011).

All’interno dell’Ordine dei Giornalisti, il dibattito circa l’uso dei social media quali canali di informazione pari ai media convenzionali è ancora aperto, tuttavia la legge ha preceduto l’ODG, emettendo sentenze al riguardo e rendendo l’argomento in via di regolamentazione.

Attenzione quindi nell’esprimere giudizi affrettati e poco decorosi dalle proprie pagine social, che siano blog, social media, twitter o mailing list perché si può essere chiamati a rispondere delle proprie affermazioni o illazioni.

A cura di Katja Casagranda
© Riproduzione riservata

 

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