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Liquidità, inflazione e caro bollette: le PMI italiane provano a uscire dall’emergenza

Il Centro studi di Unimpresa ha di recente portato in emersione il possibile scenario connesso al rischio insolvenza per le quasi 700mila imprese italiane che, a inizio 2022, rischiano il default a causa della fine della moratoria dei finanziamenti concessi dalle banche e introdotta con il decreto-legge Cura Italia nella primavera del 2020. A questa scadenza si aggiungono ulteriori elementi di rischio per la liquidità delle PMI italiane.

Ciò che si evidenzia è che, salvo interventi dell’ultimo minuto da parte del legislatore, ci sono almeno tre temi che coinvolgono con urgenza le PMI. Prima di tutto, si afferma sempre più il fenomeno del ritardo nei pagamenti, che colpisce in modo evidente le PMI rispetto alle aziende di grandi dimensioni, le quali riescono a fronteggiare la gestione della liquidità in modo più efficiente. Il rischio che si viene a generare è a catena, nel senso che la PMI si autofinanzia ritardando i pagamenti ai fornitori e la stessa cosa fanno questi ultimi, favorendo dunque un circolo vizioso che può essere mitigato solo ricorrendo al credito bancario ovvero, come sta avvenendo negli ultimi tempi, al credito “alternativo” rappresentato da fondi di investimento, veicoli di cartolarizzazione e altri soggetti operanti nel settore finanziario.
Nel momento in cui vengono meno le misure di sostegno introdotte dal Governo per far fronte alla pandemia, le PMI dovranno affrontare un nuovo test di sostenibilità. Il 31 marzo prende avvio lo stop alle moratorie del Decreto Cura Italia: fino a questo momento, l’impresa che ha ricevuto un finanziamento ha avuto la possibilità di chiedere una moratoria, con l’effetto di sospendere il pagamento del proprio debito rinviandolo al futuro. Dal 31 in poi la stessa impresa dovrà ricominciare a pagare il debito (capitale e interessi), senza alcun percorso di gradualità.

C’è poi un secondo tema. Il 30 giugno cesserà anche il regime agevolato delle garanzie statali e gratuite sui finanziamenti bancari, operate finora dal Ministero dello Sviluppo Economico e da Sace. Ciò significa che se sinora le banche hanno fatto affidamento su una valutazione del merito di credito di una azienda contando su una garanzia dello Stato, dal 1 luglio si tornerà a chiedere e valutare gli strumenti di garanzia forniti dagli imprenditori, che in questo momento stanno tornando ai margini ante-covid in un contesto di delicata e fragile ripresa.

Infine, sarà possibile ricorrere agli strumenti di garanzia offerti dallo Stato, ma non saranno più gratuiti e non forniranno più le ampie coperture previste nella fase emergenziale, il che significa che il ricorso agli stessi dovrà risultare economicamente efficiente nel contesto di riferimento. Anche su questo non è stata previsto un regime di phasing-out graduale.

La spinta inflazionistica è dovuta anche a tutto questo inevitabile sistema. Ora ci troviamo in un momento delicato perché, proprio quando i fatturati sembrano tornare a un periodo pre-pandemia, le aziende non solo devono sostenere i loro oneri di funzionamento, ma devono recuperare i debiti fiscali, previdenziali e bancari che erano stati congelati dalle moratorie, il tutto in un contesto dove la fase emergenziale non può dirsi del tutto passata. Senza dimenticare che, mentre le aziende virtuose hanno usato i finanziamenti “covid” come sostegno vero per dare continuità alla crescita e all’innovazione, altri ne hanno fatto un uso precario andando a coprire buchi precedenti e viziando in parte il mercato.

Credo che una moratoria in se e per sé non sia lo strumento più idoneo per questi finanziamenti, in quanto avrebbe il solo effetto di rinviare al futuro un debito corrente, con la consapevolezza che nessuno mette da parte i soldi per far fronte agli impegni futuri, soprattutto quando c’è necessità di ripartire. Viceversa, penso sia utile prevedere nuove ed ulteriori misure tese a supportare le aziende, specialmente le PMI, nel loro ritorno sul mercato, senza un aggravio troppo rilevante degli oneri passati.
CrescItalia opera proprio in questa prospettiva, sostenendo le PMI con 2 tipi di strumenti. A breve termine, la sua piattaforma tecnologica è dedicata all’acquisto di crediti commerciali da parte di soggetti abilitati che in tal modo forniscono liquidità immediata alle PMI interessate a cedere le loro fatture. Su questo si consente il raggiungimento di un duplice obiettivo: da una parte la creazione di una liquidità immediata per le PMI, dall’altra il perseguimento per gli investitori di un rendimento decisamente al di sopra dei rendimenti ordinari derivanti da titoli liquidi, il tutto con un profilo di rischio estremamente ridotto essendo dotati di una primaria compagnia di assicurazione sul credito.
A lungo termine, opera con un fondo di credito specializzato nella sottoscrizione di mini-bond e nel lending diretto verso le PMI, assicurandosi che i capitali siano indirizzati verso misure di sviluppo per la crescita delle aziende. Siamo nati e cresciuti perseguendo sempre l’obiettivo di creare prodotti finanziari alterativi costruiti sulle piccole e medie imprese, la spina dorsale dell’Italia. In questo delicato momento, stiamo pensando a nuovi prodotti legati ai finanziamenti “covid” cercando di fornire alle aziende uno strumento che consenta loro di contare su una liquidità immediata e al tempo stesso progressivamente rientrare dei debiti pregressi, attraverso una nuova struttura di cartolarizzazione.

Andrea Arcangeli, Presidente di CrescItalia

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