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Working davvero smart? Quello in ufficio

Soprattutto per i giovani e i “nuovi” che devono crescere, imparare, mostrarsi e dimostrare. Con cautela, con intelligenza, torniamo ai nostri posti di lavoro e lasciamo un ormai sperimentato remote per casi e situazioni particolari, lo dicono anche i CEO della finanza.

Siamo d’accordo con l’alta finanza? Oggi sì.
Intendiamoci, non sempre il nostro favore va a usi, costumi e decisioni delle “grandi firme” di WallStreet o della City. E, capiamoci altrettanto bene, siamo anche distanti dalla demonizzazione che se ne fa nella discussione comune, spesso per coprire la scarsa previdenza di altre istituzioni. Come tutti coloro che per professione e da molto tempo frequentano le stanze in cui il denaro si chiede, si presta, si investe sappiamo che la realtà è assai più articolata e complessa dell’immagine semplificata che si discuta nei social.
Ma quando i capi delle corporation finanziarie globali la dicono giusta, ci accodiamo volentieri.
Questa volta l’hanno azzeccata – secondo noi – sull’argomento smart working.

In un modo o nell’altro, con toni diversi, l’hanno detto tutti. Ultimo James Gorman, Ceo di Morgan Stanley, ma l’avevano preceduto David Solomon di Goldman Sachs, Jamie Dimon di JP Morgan e Jes Staley, di Barclays: “Signori, si ritorna in ufficio. Il lavoro in remoto influisce, negativamente sulla produttività, comincia a essere poco sostenibile in ottica aziendale e danneggia giovani e assunti da poco”.
Come abbiamo anticipato in apertura, ci troviamo sulla stessa linea.

Riteniamo sia arrivata l’ora di tornare a lavorare nei luoghi preposti all’esercizio della nostra professione e delle nostre competenze, a cominciare da settembre e un poco alla volta.
Naturalmente con qualche scrupolo, qualche precauzione e qualche spiegazione. Non siamo “ideologicamente” contrari al remote working, specie nella forma che ha monopolizzato il vocabolario della COVID-era, lo smart working (che dev’essere però davvero… smart). Anzi, l’esperimento forzato degli ultimi due anni ci ha fatto intravvedere, quanto meno, nuove possibilità per l’applicazione di questo standard a casi e periodi particolari.
Inoltre, riteniamo che il ritorno alle postazioni debba avvenire cum grano salis, solo quando e in quanto l’immunizzazione ex vaccino sia più o meno generalizzata e offra garanzie di effettivo blocco di un possibile contagio. Ed esclusivamente nelle aree in cui insidiose varanti ancora poco conosciute non gettino un’ombra di pericolo sulla condivisione in grandi numeri delle ore della giornata.

Per il resto, però, vale a parer nostro il principio enunciato da Gorman, un po’ secco ma molto pragmatico, in puro stile anglosassone: “Se puoi andare al ristorante, puoi venire in ufficio”.
E non è una semplice questione di produttività, alla lunga in sofferenza, o di costi, alla lunga poco graditi alle imprese. È, soprattutto, che in ufficio si impara, si cresce, anche per osmosi, si mostra ciò che si sa fare, si scorgono e si afferrano possibilità di crescita e di affermazione, da una parte, di riconoscimento e di turn-over dall’altra. In remoto una parte di queste chance esiste, ma è limitata, naturalmente, a chi padroneggia già le posizioni, le chiavi e le relazioni giuste.

A costo di ripetersi, dalla continuazione prolungata o dall’istituzionalizzazione generalizzata del lavoro a distanza hanno da perdere soprattutto i giovani. Sono il nostro futuro – perdonate la banalità – mentre la pandemia, se Dio vuole, è già il passato.

A settembre tutti in ufficio, con il sorriso, per rendere finalmente normale il quotidiano new normal.

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