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Credito sotto scacco: la geopolitica riscrive le regole del gioco

Dai dazi alle sanzioni, passando per le tensioni militari, le aziende stanno affrontando una nuova era di incertezza e instabilità che sta ridisegnando il rischio d’impresa e l’accesso al credito. Ecco perché il rischio geopolitico è diventato il vero termometro della salute finanziaria delle imprese.

Siamo entrati in un’epoca in cui il rischio d’impresa non si misura più solo con bilanci, flussi di cassa o rating. Oggi, il termometro della salute finanziaria delle imprese è la geopolitica.

Le guerre commerciali stanno ridisegnando le mappe del credito. I dazi imposti, ritrattati e poi imposti nuovamente dall’amministrazione Trump hanno scatenato reazioni a catena nei mercati. Queste tensioni investono diversi settori strategici, come tecnologia e intelligenza artificiale, con restrizioni incrociate su export e investimenti. Il risultato? Una revisione al ribasso delle previsioni di crescita globale, con il commercio mondiale che si prevede calerà dello 0,2% nel 2025.

Queste cifre si traducono in interruzioni delle catene di approvvigionamento, aumento dei costi di produzione e perdita di mercati chiave per molte aziende europee e italiane. Per le imprese, soprattutto quelle fortemente internazionalizzate, ignorare questa nuova realtà significa navigare a vista. Il rischio geopolitico è diventato, senza mezzi termini, una componente strutturale del rischio di credito.

A questo, si aggiungono le conseguenze ancora tangibili del conflitto in Ucraina e delle relative sanzioni alla Russia. Sebbene i prezzi dell’energia abbiano mostrato una certa stabilizzazione rispetto ai picchi del 2022-2023, la ridefinizione delle rotte energetiche e l’esclusione di Mosca da importanti circuiti finanziari continuano a generare volatilità e incertezza. Le imprese italiane più esposte verso i mercati coinvolti nel conflitto o dipendenti da materie prime critiche hanno dovuto affrontare una complessa ristrutturazione delle proprie supply chain, con impatti diretti sulla loro liquidità e capacità di servizio.

Ma come si traduce tutto questo in termini di credito?

In modo diretto e brutale. Le banche e gli istituti finanziari stanno integrando sempre più esplicitamente le analisi di rischio geopolitico nei loro modelli di valutazione del rischio. Un’azienda che opera in settori sensibili, come tecnologia, energia e difesa, o con forte esposizione a mercati “caldi” vedrà probabilmente aumentare il premio per il rischio richiesto.

Anche le agenzie di rating non sono da meno. S&P Global Ratings ha sottolineato come la frammentazione geopolitica sia diventata un fattore chiave nel determinare l’outlook di interi settori e Paesi, con effetti a cascata sui rating delle singole aziende. Un declassamento, o anche solo un outlook negativo legato a fattori geopolitici, può rendere l’accesso al mercato del credito più oneroso, se non precluso.

Cosa possono fare quindi le imprese?

Subire passivamente è la cosa peggiore da mettere in atto. È fondamentale adottare invece un approccio proattivo.

In questo scenario, le imprese devono mappare i rischi per identificare eventuali vulnerabilità geopolitiche; adottare strategie di diversificazione delle forniture e dei mercati di sbocco, riducendo così la dipendenza da singole aree geografiche instabili; investire in tecnologie che aumentino la resilienza delle loro catene del valore; monitorare costantemente l’evoluzione delle tensioni geopolitiche.

La capacità di adattamento e la flessibilità operativa diventano quindi elementi chiave per la sostenibilità finanziaria. Comprendere come le dinamiche globali influenzeranno il merito creditizio della propria azienda è di vitale importanza in questo nuovo scenario economico.

Il credito, oggi più che mai, parla la lingua della geopolitica.

Alla prossima!

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