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Perché gli operatori internazionali non investono più in Npe italiani?

Giorgio Tito Baroero (UniCredit), Andrea Clamer (illimity) e Stefano Sennhauser (Allen & Overy) spiegano i motivi dietro la minore propensione a investire nel nostro paese degli operatori esteri

Il lockdown a quanto pare riguarda anche gli investitori esteri in Npe italiani, che sono stati meno presenti sul mercato in questi mesi. “E’ vero, stiamo riscontrando un po’ meno competizione rispetto ad altri periodi”, conferma Andrea Clamer, Head of Distressed Credit Investment & Servicing di illimity. Se ne è accorto anche Stefano Sennhauser, senior partner di Allen & Overy: “Gli investitori internazionali sono stati alla finestra, soprattutto nel periodo iniziale del lockdown, prima dell’estate 2020. Sono interessati all’Italia, ma volevano prima capire meglio cosa stava accadendo e le sue evoluzioni durante e post-coronavirus”. A frenarli è stata quindi l’incertezza del contesto, che ha innescato in loro una maggiore prudenza, secondo Sennhauser.
“I fondi globali spesso hanno il comitato di investimento in Usa o in altri paesi extra-europei, che in un momento di crisi difficilmente approva le operazioni all’estero, anche per la distanza geografica e culturale, applicando una maggiore cautela”, sottolinea Giorgio Tito Baroero, Senior VP  e responsabile Group Distressed Asset Management di UniCredit. “L’incertezza spesso è scontata attraverso tassi di rendimento attesi più alti, prezzi più bassi e una minore aggressività sui mercati. Molti investitori, infatti, hanno preferito rimanere in attesa per capire cosa sarebbe successo durante e soprattutto post coronavirus” ha spiegato Clamer.  

Inoltre, il contesto economico ha creato nuove opportunità più allettanti degli Npe italiani per gli investitori internazionali. “Gli investitori internazionali tipici del segmento Npe cercano di impiegare il loro capitale con tassi di rendimento a doppia cifra. In situazioni normali, trovano questo rendimento negli Npe di Grecia e Italia. Ma in un momento di tensione finanziaria a livello globale, tale rendimento può essere trovato con altri investimenti succedanei maggiormente liquidi. C’è un effetto sostituzione, ad esempio con strumenti quotati di aziende che stanno soffrendo di volatilità e magari hanno buon rating. Anche perché mentre l’operatore italiano investe principalmente nel Bel Paese, quello estero investe globalmente in tutto ciò che porta al rendimento atteso target”, ha detto Giorgio Tito Baroero.

Questa situazione ha portato a una maggiore attività degli operatori locali in Italia, sostenuti anche dalla timidezza degli operatori esteri. “Gli operatori locali hanno più che compensato l’inerzia degli operatori esteri, approfittando del momento. Ma grazie a un’attività corale degli operatori locali, si è mantenuto comunque un livello di competizione accettabile. Tant’è che UniCredit ha confermato gli obiettivi di riduzione non core come da piano. Tra l’altro, gli operatori locali creano anche esternalità positive: oltre a investire, recuperano anche i portafogli. E questo fa bene alla profondità e competitività del mercato”, chiosa Baroero.

Clamer ha ricordato: Gli operatori italiani spesso sono anche operatori bancari, con un minore costo del funding. Non vedo prezzi in discesa, anche perché gli operatori per le loro caratteristiche intrinseche sono in grado di offrire prezzi più alti. Vediamo meno concorrenti nelle gare, ma questo non si traduce in una riduzione del prezzo delle transazioni”.

Sennhauser ha evidenziato: “Gli investitori italiani, con una maggiore familiarità col tessuto locale, hanno capito che ora le cose sono sotto controllo, per cui sono più propensi a sfruttare il momento, avendo compreso che le banche non si sarebbero fermate con il derisking. Così gli investitori italiani più preparati hanno proseguito l’attività quasi ininterrottamente, per cui gli investitori stranieri ora sono più disponibili a scendere in campo. Hanno visto che le aziende si sono organizzate, hanno proiezioni più definite sull’andamento dell’economia e possibilità di ripresa, chiudendo in parte le incertezze ampie di prima”.  Il senior partner di Allen & Overy è ottimista: “Ora il lockdown è meno pesante,  ci sono  spiragli di speranza dai vaccini, le aziende sono più abituate allo smart working e gli investitori internazionali stanno guardando le opportunità e preparandosi alle gare in arrivo entro fine anno o in corso. La situazione è ora in netto miglioramento, ci sono attività da parte di investitori stranieri anche se le operazioni non sono ancora state chiuse. A breve o brevissimo torneremo alla normalità anche dal punto di vista degli investimenti in Npe, per cui ci sarà un rinnovato interesse verso il mercato italiano”. Per Clamer, “Se è vero che ci sarà un primo vaccino nel primo trimestre 2021, da quel momento si potrà generare un clima di maggiore tranquillità e fiducia che potrà riportare gli investitori internazionali in Italia, un mercato che per loro è sempre stato interessante e che lo sarà ancor di più post pandemia”.

Infine, per farli tornare a investire nel nostro paese dovrà anche venir meno l’effetto sostituzione, per cui gli investitori esteri torneranno a cercare rendimenti in prodotti più complessi.  Inoltre, “Deve finire l’emergenza coronavirus ed esserci maggiore chiarezza sui suoi effetti sul mercato immobiliare (un eventuale effetto dumping dei prezzi) e sull’economia reale. Rievanye risulta anche per gli investitori avere un quadro chiaro e definitivo di come lo Stato Italiano allocherà le risorse all’economia reale, in termini di misure e incentivi. Tutto ciò stabilizza la volatilità e quindi l’investitore torna più sicuro ed efficace in Italia”, ha concluso Baroero.

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