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Confindustria, stime PIL più che dimezzate: solo +0,5% nel 2024

Confindustria, stime PIL più che dimezzate: solo +0,5% nel 2024

Il CSC prevede per il 2023 un incremento annuo del PIL di +0,7%, già interamente acquisito. Previsto un rimbalzo della produzione industriale a +0,8% nel 2024

La previsione sul PIL di Confindustria

Il 28 ottobre 2023, il Centro Studi di Confindustria ha pubblicato un rapporto di previsione economica che ha rivisto al ribasso le stime di crescita del Pil italiano per il 2024. La nuova previsione è di un aumento del 0,5%, rispetto al +1,2% stimato a marzo.

Questa revisione al ribasso è dovuta a una serie di fattori, tra cui:

  • L’aumento dei tassi di interesse, che sta già avendo un impatto negativo sul credito alle imprese e alle famiglie;
  • L’incertezza geopolitica, legata alla guerra in Ucraina ed al recente scoppio del conflitto in Medio Oriente;
  • La crisi energetica, che sta (ancora) facendo aumentare i prezzi dell’energia e dei beni alimentari.

L’andamento del PIL italiano nel 2023 si profila in forte rallentamento rispetto al 2022, quando era cresciuto del +3,7%: nello scenario base, che non include gli effetti delle misure contenute del DDL Bilancio, il CSC prevede un incremento annuo del +0,7%, già interamente acquisito, 0,3 punti percentuali in più rispetto a quanto incluso nello scenario di marzo. La crescita nel 2024 è attesa al +0,5% (vedi tabella appena sotto), 0,7 punti percentuali in meno rispetto alle stime dell’ultimo Rapporto.

Come dice il CSC, “La revisione al rialzo nel 2023 è interamente ascrivibile alla crescita del 1° trimestre  particolarmente positiva, ben oltre le attese (+0,6%), che però sarebbe stata pari a zero al netto del contributo molto alto delle scorte (+0,6%). Quella al ribasso nel 2024 è dovuta all’effetto negativo dei tassi di interesse elevati sulle imprese e sulle famiglie, più prolungato di quanto immaginato a marzo perché i primi tagli arriveranno più tardi, e a una dinamica meno favorevole del commercio internazionale, che sarà negativa nell’anno in corso. I consumi collettivi sostengono la dinamica del PIL nel 2023 (+0,5%), ma la frenano in misura marcata nel 2024 (-0,5%).

L’impatto sui consumi e sugli investimenti

La revisione al ribasso delle stime del Pil avrà un impatto negativo sui consumi e sugli investimenti.

I consumi delle famiglie, che sono il principale motore della crescita economica italiana, dovrebbero aumentare dello 0,6% nel 2024, rispetto al 2,8% stimato a marzo. Questo forte rallentamento è dovuto all’aumento dei prezzi (inflazione) e al calo del reddito disponibile.

Gli investimenti, che sono necessari per sostenere la crescita a lungo termine, dovrebbero diminuire dello 0,1% nel 2024, rispetto al +0,5% stimato a marzo. Questo calo è dovuto all’aumento dei costi di finanziamento e all’incertezza geopolitica.

Le implicazioni per la politica economica

La revisione al ribasso delle stime del Pil pone una sfida alla politica economica italiana.

Il governo dovrà trovare modi per sostenere la crescita economica e per proteggere i lavoratori e le imprese dai rischi economici.

Tra le possibili misure che il governo potrebbe adottare, ci sono:

  • Un intervento fiscale per sostenere i consumi e gli investimenti;
  • Un sostegno alle imprese per ridurre i costi di finanziamento;
  • Un piano per diversificare le fonti di approvvigionamento energetico.

L’impatto dei tassi di interesse sul PIL

L’aumento dei tassi di interesse è uno dei principali fattori che sta limitando la crescita economica italiana.

I tassi di interesse più alti rendono più costosi il credito alle imprese e alle famiglie. Questo può portare a una riduzione degli investimenti e dei consumi, che sono i principali motori della crescita economica.

L’aumento dei tassi di interesse è stato deciso dalla Banca Centrale Europea (BCE) per combattere l’inflazione. All’ultima riunione della banca centrale, fortunatamente, alla fine di ottobre 2023, si è deciso per una almeno momentanea interruzione del rialzo dei tassi. L’inflazione sta (finalmente) rallentando

Nel mese di settembre 2023 (ultima rilevazione disponibile), L’ISTAT stima che l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi registri un aumento dello 0,2% su base mensile e del 5,3% su base annua, da +5,4% del mese precedente. L’inflazione di fondo, al netto degli energetici e degli alimentari freschi rallenta ancora (da +4,8% a +4,6%), così come quella al netto dei soli beni energetici (da +5,0% registrato ad agosto a +4,8%).

Si affievolisce la crescita su base annua dei prezzi dei beni (da +6,3% a +6,0%), mentre si accentua quella dei servizi (da +3,6% a +4,1%), portando il differenziale inflazionistico tra il comparto dei servizi e quello dei beni a -1,9 punti percentuali, da -2,7 di agosto. L’inflazione acquisita per il 2023 è pari a +5,7% per l’indice generale e a +5,2% per la componente di fondo.

La BCE ha annunciato che potrebbe però continuare ad aumentare i tassi di interesse nei prossimi mesi se l’inflazione, per qualunque motivo, esogeno o endogeno, dovesse rialzare la testa. Questo significa che l’impatto negativo dei tassi di interesse sull’economia italiana potrebbe (anche) continuare nei prossimi mesi.

L’impatto dell’incertezza geopolitica sul PIL

L’incertezza geopolitica, legata alla guerra in Ucraina ed al recente scoppio del conflitto israelo.-palestinese, è un altro fattore che sta limitando la crescita economica italiana.

La guerra in Ucraina sta (ancora) causando un aumento dei prezzi dell’energia e dei beni alimentari. E lo sta certamente facendo quanto accade in Medio Oriente. Questo “combinato disposto” sta erodendo il reddito disponibile delle famiglie e delle imprese.

Inoltre, sta creando incertezza sulle prospettive economiche globali. E questo sta disincentivando gli investimenti e i consumi.

L’incertezza geopolitica è un fattore difficile da prevedere. È possibile che la guerra in Ucraina si protragga per molti mesi, o addirittura per anni. In questo caso, l’impatto negativo dell’incertezza geopolitica sull’economia italiana potrebbe essere molto significativo.

L’impatto della crisi energetica sul PIL

La crisi energetica, legata all’aumento dei prezzi dell’energia, è un altro fattore che sta limitando la crescita economica italiana.

L’Italia è un paese fortemente dipendente dalle importazioni di energia. L’aumento dei prezzi dell’energia sta mettendo a dura prova le imprese e le famiglie italiane. Basta vedere il costo di benzina e diesel, o quanto siano aumentate le bollette, e non solo del gas (anche l’acqua, bene primario e indispensabile, ha visto un forte aumento).

Il governo italiano ha introdotto una serie di misure per mitigare l’impatto della crisi energetica sull’economia. Tuttavia, queste misure non sembrano attualmente sufficienti a compensare l’aumento dei prezzi dell’energia.

Che fare, quindi?

La revisione al ribasso delle stime del Pil italiano è un segnale preoccupante per l’economia italiana. Il governo dovrà necessariamente intervenire, in qualche modo, per sostenere la crescita economica e per proteggere i lavoratori e le imprese dai rischi economici. Come lo farà?

Il problema è proprio questo. La congiuntura economica, come ha sottolineato più volte il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, non permette voli pindarici, tutt’altro. Anzi…

La situazione annosa e sclerotizzata del debito pubblico, ad oggi di circa 2388 miliardi di euro, e che ha visto nell’ultima manovra finanziaria un ulteriore aggravio di deficit di circa 14 miliardi, non consente praticamente margini di manovra, dicevamo.

Il grafico sopra mostra l’andamento del tasso di interesse dei titoli di Stato calcolato sulla base dei rendimenti lordi all’emissione dei titoli emessi nel singolo anno. Fra il 2022 ed il 2023, il valore è passato dall’1,71% al 3,66%. Come si vede, i costi di finanziamento dello Stato sono più che raddoppiati nell’ultimo anno.

I “boatos” di palazzo riportano mugugni all’interno di molti ministeri, a cui è stata richiesta una spending review notevole, ma che pare non abbia partorito moltissimo e che, anche di conseguenza, non hanno viste accolte molte delle loro richieste.

Ammonta a 821,7 milioni di euro il taglio stimato per il 2024 nelle dotazioni finanziarie delle spese per i ministeri. E’ quanto emerge dalle tabelle che accompagnano il testo della legge di bilancio bollinato il 30 ottobre 2023 dalla Ragioneria. Nel 2025 la previsione è di 878,2 milioni, e ancora fino a 898,16 milioni l’anno successivo, per una spending review totale nel triennio di quasi 2,6 miliardi.

Al momento quindi, per sostenere la crescita economica e per proteggere i lavoratori e le imprese dai rischi economici, lo Stato si trova un po’ in difficoltà. In definitiva, la manovra 2023 è tendenzialmente conservativa e non espansiva per il PIL e, visto i tempi che corrono, è già tanto così.

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