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Credit Scoring: e se non bastasse per decidere se concedere un finanziamento?

Secondo la Corte di Giustizia Europea, la singola attività di credit scoring non può basare la decisione di una banca. Con la sentenza del 7 dicembre scorso, la Corte Ue ha precisato come questa singola attività non possa costituire l’unico motivo di stipula o diniego di un finanziamento.

Corte di Giustizia UE: il credit scoring non può basare la decisione di una banca

Di recente, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è espressa circa una domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Tribunale amministrativo di Wiesbaden, riguardante l’interpretazione dell’art. 22, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR) in merito all’attività svolta dalle società che prestano servizi di informazione commerciale in materia di credito e fornendo importanti linee interpretative per individuare una “decisione automatizzata”.

Nella fattispecie, la Corte di Giustizia Ue, con la sentenza del 7 dicembre scorso, pronunciata nella causa C-634/21, ha fornito importanti precisazioni in merito all’attività di credit scoring, precisando come questa non possa, ai sensi del GDPR, costituire l’unico motivo di stipula o diniego di un contratto (nel caso specifico di un mutuo).

Il caso

La Corte Ue ha affrontato il caso di un cittadino tedesco che, a causa di un punteggio negativo assegnatogli da parte di una società di credit scoring, si è visto negare la concessione di un mutuo dalla banca. L’uomo ha chiesto alla suddetta società di conoscere le logiche dietro a questa valutazione, ma quest’ultima si è trincerata dietro mere descrizioni delle sue metodologie, la difesa del segreto commerciale e, in particolare, omettendo le informazioni acquisite e i criteri di ponderazione utilizzati per ottenere lo scoring.

A quel punto il soggetto ha presentato ricorso al Tribunale amministrativo di Wiesbaden, che a sua volta ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia per stabilire se l’attività di queste società e la trasmissione a terzi dei relativi punteggi, senza alcuna raccomandazione o commento, rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 22, paragrafo 1, del GDPR, ai sensi del quale “l’interessato ha il diritto di non essere sottoposto a una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato, compresa la profilazione, che produca effetti giuridici che lo riguardano o che incida in modo analogo significativamente sulla sua persona”.

La decisione della Corte

Prima di pronunciarsi su questa causa, la Corte di Giustizia Europea ha preso in esame il suddetto articolo in relazione all’attività di profilazione svolta da parte della società di credit scoring e come questa possa essere considerata nei criteri di una “decisione automatizzata”.

Stando al considerando 71 del GDPR, la Corte ha chiarito che con il termine “decisione” non s’intende soltanto una “decisione in senso stretto”, bensì una misura o una valutazione di aspetti personali. Se lo scoring automatizzato riveste efficacia condizionante su soggetti terzi, come sulla concessione di un mutuo da parte di una banca, ha senza dubbio valore di decisione ai sensi del GDPR.

Pertanto, secondo la Corte, l’art. 22, paragrafo 1, del GDPR dev’essere interpretato nel senso che il calcolo automatizzato, da parte di una società di informazioni commerciali, di un tasso di probabilità basato su dati personali relativi a una persona, costituisce un “processo decisionale automatizzato relativo alle persone fisiche” ai del quale dipende in modo decisivo la stipula, l’esecuzione o la cessazione di un rapporto contrattuale con un soggetto terzo. Di conseguenza, l’attività fornita dalle società di scoring, non può costituire l’unico parametro di stipula o diniego di un finanziamento.

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