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Criptovalute, crediti fantasma?

Il sistema dei bitcoin e dei prodotti affini soffre ancora di diverse incertezze, tecnologiche e soprattutto regolamentari, che rendono opaca la gestione dei relativi crediti, soprattutto per le pubbliche amministrazioni. Cercansi nuove certezze, per operare tutti in serenità e con fiducia

Da queste pagine virtuali non abbiamo mai affrontato un tema che ha riempito ormai migliaia di discussioni e articoli, online o meno, quello del bitcoin e in generale delle criptovalute. Peraltro, lo ammettiamo, la nostra competenza in materia è ancora elementare. Ma come vedremo, siamo in buona compagnia.

È certo una mancanza. Ormai le criptovalute sono entrate nel novero dell’economia quotidiana e sempre più piattaforme, negozi telematici, aziende anche di livello globale sembrano voler accettare pagamenti e transazioni varie effettuati con questa forma di moneta (salvo, in molti casi assistere a smentite repentine dopo che sui media si erano diffusi gli annunci relativi). Ma il punto è proprio questo: il mondo dell’economia e quello del credito in generale ne sanno ancora troppo poco.

Oggi cominciamo a fare ammenda. Sperando di iniziare a compiere un’opera utile, magari di fornire qua e là un consiglio intelligente, anche senza mirare specificamente a questo risultato. Con un’avvertenza: viste le premesse tratteremo l’argomento in modo poco approfondito, giusto per fare conoscenza, e “per sentito dire”, ovvero avvalendoci di informazioni e considerazioni ritrovate qua e là nel Web. Soprattutto, cercheremo di farlo dal nostro punto di vista, ovvero da quello della gestione del credito, e specificamente del credito facente capo a imprese.

Come abbiamo detto? E che c’entrano i bitcoin, investimento prediletto da nerd, smanettoni e trader da mansarda, con l’impresa? C’entrano, c’entrano. Perché all’estero e, se non oggi di certo domani, anche in Italia, alcune aziende decidono di esplorare la via del profitto possibile acquistando e vendendo criptovaluta.
Il primo focus è di tipo sostanzialmente tecnologico. Ma bada bene: se ti senti portato a investire in criptovalute, l’ambiente tecnologico conta. A differenza di denaro e titoli tradizionali, l’intera esistenza e validità del tuo cripto-patrimonio sono legate a dati elettronici, ai codici per padroneggiarli, finanche ai supporti “meccanici” che custodiscono valori e spesso le credenziali per gestirli. In breve: se perdi le password corrette o se, per esempio, il disco esterno che contiene i dati del tuo wallet in bitcoin si danneggia, sei nella… in una brutta situazione. Potresti infatti ritrovarti nell’impossibilità di accedere al tuo “conto” bitcoin e perdere tutto l’investimento. Naturalmente esistono metodi e professionisti che possono aiutarti nel recupero, non sempre garantito, ma si tratta di operazioni e consulenze molto costose e, trattandosi di una terra in qualche modo incognita, affetti da rilevante possibilità di truffa.
Prima considerazione, quindi: potrà anche trattarsi di eventi rari, ma la legge del buon Murphy è sempre in agguato e, assai più che nel caso di investimenti portati avanti con gli strumenti tradizionali, il rischio di un doloroso epic fail qui c’è.

Il secondo argomento, più affine al recupero crediti che a quello dei dati da ritrovare, ci porta sul delicato rapporto tra aziende e pubbliche amministrazioni (ma non solo, lo scenario si apre fatalmente ai rapporti tra privati), sullo spinoso versante del debito fiscale.
La riflessione prende le mosse dagli allarmi che negli ultimi mesi hanno lanciato autorità regolatrici e società di consulenza in tutto il mondo. Trattandosi di materia ancora poco regolata (per non dire compresa) e difficile da controllare per gli enti preposti, le transazioni in criptovaluta e soprattutto gli strumenti finanziari confezionati sulla loro base costituirebbero ancora terreno fertile per molte operazioni illecite o di dubbia liceità: truffe, riciclaggio, speculazioni fuori da ogni regola. Per gli enti pubblici, in base a tali motivi, ma no solo, il grave rischio è l’impossibilità assoluta di recuperare quanto atteso in tasse, dal fallimento di aziende che abbiano investito capitali o si facciano pagare in questo modo.

Gli allerta hanno avuto un primo grande effetto: Jeff Bezos si è affrettato a negare che Amazon sia pronta ad accettare pagamenti in criptovaluta.

E per noi? La lettura congiunta dei due processi illustrati ci suggerisce due constatazioni. L’area delle criptocurrency soffre ancora di qualche incertezza tecnologica ed è certamente in attesa di regolamentazione da molteplici punti di vista.
Noi del credito operiamo già sotto regime d’insicurezza, per molti versi. Ci auguriamo quindi che al più presto, queste zone grigie siano illuminate, per poterci muovere con l’adeguata sicurezza, garantendo ai nostri partner, anche a queste condizioni, servizi professionali e certi, degni della fiducia che abbiamo costruito con fatica intorno alle nostre prestazioni. Criptovalute sì, ma solida gestione dei crediti a esse legati.

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