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Alfredo Fineschi

EthicalFin NPL lancia una campagna di Crowdfunding. Intervista al Ceo e Co-founder Alfredo Fineschi

La società di recuperi crediti che crede nella gestione etica dei crediti deteriorati punta sul Crowdfunding per finanziare la sua crescita. Alfredo Fineschi: “Nel mio personale cassetto dei sogni l’obiettivo ideale sarebbe utilizzare piattaforme come questa per strutturare operazioni a forte impatto sociale”

EthicalFin NPL è una società di recupero crediti, costituita nel 2017, specializzata in NPL bancari, che ha come obiettivo la gestione etica e sostenibile dei crediti deteriorati.
La società ha recentemente annunciato il lancio di un programma di Lending Crowdfunding, realizzato attraverso la piattaforma Business Lending a partire dal prossimo 25 gennaio.
Abbiamo intervistato Alfredo Fineschi, CEO e Co-founder di EthicalFin NPL, per conoscere meglio l’iniziativa, capire cosa si intende per gestione etica dei crediti deteriorati, ma anche per parlare dell’attuale situazione del mercato degli NPL e delle prospettive future.

Avete annunciato che il 25 gennaio partirà una campagna di lending crowdfunding. Di cosa si tratta? Chi può partecipare?
L’iniziativa è stata lanciata per finanziare il progetto crescita di EthicalFin NPL, dal momento che – anche grazie alla recente costituzione della Società tra Avvocati Studio Legale Torre EF – stiamo vivendo come azienda una fase di crescita esponenziale dell’Asset under management. Tale crescita, chiaramente, dovrà essere sostenuta dal rafforzamento della struttura e dall’inserimento di nuovi Loan Manager e Avvocati.
Si tratta di una raccolta di Lending Crowdfunding, alla quale può partecipare chiunque si trovi all’interno del perimetro della Comunità Europea, con un investimento minimo di cento euro fino a un massimo di 8.750 euro. Il prestito verrà restituito dopo 18 mesi con un ritorno sul capitale investito – l’operazione prevede un ROI dell’8,25%. Anche se la raccolta sarà online a partire dal 25 gennaio, consigliamo a chi fosse interessato di iscriversi già ora alla piattaforma Businesslending.it perché i tempi tecnici di apertura del proprio portafogli virtuale e di ricarica del conto possono impiegare fino a 8 giorni lavorativi. Inoltre, la raccolta ha un tetto massimo di 75.000 euro, oltre il quale non sarà più possibile investire.
Abbiamo deciso di puntare sul crowdfunding perché ci sembravano interessanti le possibilità offerte da questo innovativo metodo di finanza orizzontale: insieme alla possibilità di richiedere un prestito, infatti, il crowdfunding consente alle persone di incontrarsi, a partire da un interesse reciproco, e – perché no – di costruire una rete di rapporti basati sulla fiducia dalla quale non possono che derivare benefici futuri e imprevedibili. Questo è principalmente ciò che ci ha attratto, dal momento che il network e l’innovazione sono due elementi di grande valore, all’interno del nostro modo di operare.

Altre società che si occupano di Npl hanno già utilizzato questo strumento? Credete che si farà sempre più ricorso a iniziative di questo tipo in futuro?
Che io sappia, la nostra è la prima iniziativa di lending crowdfunding diretta a finanziare una società attiva nel settore degli NPL. Nello specifico, l’obiettivo dell’iniziativa è quello di finanziare esclusivamente la crescita operativa della società all’interno di un settore che, in futuro, non potrà che generare un aumento dei ricavi per società come la nostra. Sarebbe interessante, però, consentire la possibilità di utilizzare queste piattaforme per finanziare le piccole realtà – come quella da noi rappresentata – anche nell’acquisto di portafogli NPLs. Ciò consentirebbe anche ai prestatori di poter beneficiare, seppur indirettamente, dei buoni rendimenti offerti da questa tipologia di investimenti. Ad oggi, tuttavia, sotto quest’aspetto, il regolatore manifesta una certa diffidenza, forse una vera e propria avversione, all’idea di concedere che soggetti non qualificati possano investire, seppur indirettamente, in un settore come quello degli NPLs.
Nel mio personale “cassetto” dei sogni – e perché no, magari progetti futuri se le condizioni lo permetteranno – l’obiettivo ideale sarebbe utilizzare piattaforme come questa per strutturare operazioni a forte impatto sociale. Mi riferisco a iniziative dirette a finanziare “soluzioni” alternative alla vendita giudiziale degli asset a garanzia degli NPL (che, solitamente, avvengono a prezzi lontani da quelli di mercato e con costi di procedura rilevanti), in modo da sbloccare il probabile stato di insolvenza di aziende che vivono un momento di crisi, per esempio causato dall’attuale emergenza sanitaria. Operazioni di questo tipo risulterebbero indubbiamente vantaggiose sia per i creditori, che per i debitori: i creditori, infatti, realizzerebbero un recupero più alto e in minor tempo, mentre i debitori potrebbero trovare finalmente una definizione tombale dei propri debiti, nei confronti di Banche e finanziarie. Chiaramente, la prima a trarre giovamento da tutto ciò sarebbe l’asfittica situazione economica italiana, dal momento che beneficerebbe del ritorno in bonis di persone fisiche e di imprese.

Affermate di gestire il recupero crediti in maniera etica e sostenibile e che la gestione dei crediti deteriorati può diventare un’opportunità anche per il debitore. Può spiegarci meglio le caratteristiche di questo “approccio”? È una modalità che a vostro giudizio paga a livello di performance?
Posso dire che questa “visione” – della gestione dei crediti in maniera etica – era, tempo fa, un altro dei sogni nel cassetto e adesso costituisce proprio il modo in cui cerchiamo di approcciarci al mondo degli NPLs, ovvero in maniera etica e sostenibile.
Sin dalla primissima fase di valutazione dei portafogli, già nel corso della due diligence, lavoriamo alla strutturazione di business plan realistici, ovvero basati sull’effettiva capacità patrimoniale dei debitori, e valutiamo i recuperi giudiziali sulla base di scenari (anch’essi realistici) di vendita coattiva degli immobili pignorati, tenendo sempre presenti le specificità del mercato immobiliare in Italia. Molte zone, infatti, sono caratterizzate da una domanda minima – per non dire, a volte, del tutto assente – per immobili, anche residenziali, ma siti in piccoli comuni, marginali rispetto alle grandi città, o in quartieri degradati delle grandi città. Questo modo di operare, oltre ad essere etico, costituisce una garanzia in più in termini di probabilità di recupero per le stesse mandanti, in quanto favorisce una migliore gestione del portafoglio in fase successiva. Infatti, operare sulla base di previsioni realistiche, che si basano sulle effettive capacità patrimoniali dei debitori e sui valori reali degli asset a garanzia, innanzitutto facilita le chiusure stragiudiziali durante la fase legale iniziale con i debitori; e inoltre, rende possibile avviare trattative con i debitori che non hanno per presupposto, da ambo le parti, aspettative irrealistiche – fermo restando le normali dinamiche di una qualsiasi negoziazione. Grazie a questo approccio, laddove possibile, si evita di dover percorrere la strada giudiziale,  che –  è risaputo – è la meno conveniente per tempi e costi rispetto a quella stragiudiziale, soprattutto nel caso degli immobili più critici, che poi finiscono aggiudicati a prezzi vili in asta – situazione che, nei casi peggiori (e sempre più frequenti, vorrei precisare) genera perdite sui singoli crediti agli investitori, nonché la mancata estinzione dell’obbligazione in capo ai debitori.
Quindi sì, ritengo che questo approccio paghi in termini di performance e che costituisca una modalità di gestione vincente in ambito NPL.
Vorrei aggiungere anche un’altra cosa. Proprio perché crediamo in questo tipo di approccio, abbiamo in programma di mettere a punto una formazione per i nostri Loan Manager con un particolare focus sulla gestione dei rapporti con i debitori e sulla gestione anche emotiva della trattativa. Per l’esperienza e la conoscenza che ho dell’ambito, so che i debitori, spesso, sono persone che hanno subito fallimenti anche di carattere personale e hanno bisogno di essere anche un po’ accompagnati verso una soluzione transattiva che, a volte, necessita di una fase di presa di consapevolezza della situazione. La maggior parte delle volte, il debitore non ha gli strumenti o le competenze per poter leggere e interpretare la sua reale situazione dal punto di vista finanziario e quelle che potrebbero essere le conseguenze dei vari passaggi della procedura. A volte hanno dalla loro cattivi consiglieri o non hanno la possibilità di pagare un Consulente che li assista e – dunque – spesso siamo noi stessi ad avere l’onere di fare un po’ da consulenti per loro. Non si tratta di avere un approccio “buonista” – le assicuro che i nostri processi di recupero giudiziali vanno di pari passo con quelli stragiudiziali – ma di essere, da un lato, attenti a quelle che sono le situazioni che, dal 2008 in poi, ci siamo trovati a vivere da un punto di vista economico e sociale e, dall’altro, di essere lungimiranti. Lavoro nell’ambito degli NPL da quasi vent’anni e, dal 2008 in poi, ho notato un notevole cambiamento nel profilo “tipico” dei debitori: sempre meno “buffaroli” di professione – come li chiamiamo a Roma – e sempre più famiglie e imprenditori colpiti da una crisi economica che sembra non finire mai. E con ciò ritorno al discorso dell’orizzonte etico: come azienda che opera in questo settore, oltre che a realizzare il ritorno economico, puntiamo a realizzare un impatto sociale positivo, a beneficio di debitori (con il loro ritorno in bonis), investitori (che risultano comunque favoriti da questo tipo di gestione) e, più in generale, della situazione economica italiana, visto il momento di particolare crisi che stiamo vivendo, come nazione, da un po’ di tempo a questa parte.

La pandemia da Coronavirus sta portando con sé grandi difficoltà economiche per le imprese, con il tentativo da parte dello Stato di contenere e mitigare questi effetti. Quando gli aiuti e le moratorie finiranno, quale impatto vi aspettate?
Siamo tutti convinti che, quando le moratorie finiranno, l’impatto sull’aumento degli NPLs sarà molto importante. Sia per le aziende, in quanto quelle più deboli probabilmente cesseranno le attività, sia per le famiglie, a causa dei licenziamenti che avverranno non appena il governo ne cesserà il blocco, tuttora in vigore.
A mio avviso, sarà sicuramente necessario modificare l’approccio nella gestione dei crediti a sofferenza e, soprattutto, il governo dovrà studiare soluzioni straordinarie per affrontare questo problema e creare le condizioni per una definizione agevolata dei crediti a sofferenza, anche al fine di aiutare famiglie e imprese a tornare in bonis con il sistema finanziario. Sarebbe importante, in questo senso, che venisse instaurato un dialogo con gli operatori del settore, proprio per pensare a possibili direzioni verso cui muoversi.

L’incertezza per il futuro ha già avuto ripercussioni sul mercato degli NPL? Che tipo di trend vi aspettate per la fase post Covid?
Sicuramente, ci aspettiamo che cresca il “mercato”, nel senso classico del termine, e che questo attiri nuovi investitori.
Per quanto, invece, riguarda i possibili trend da un punto di vista di “soluzioni”, rispetto al previsto aumento degli NPL in Italia, ad oggi, tutti i provvedimenti che vengono prospettati sono finalizzati a mettere in sicurezza i bilanci delle banche Italiane prevedendo soluzioni, non di mercato, che prevedono la cessione a soggetti più o meno istituzionali (AMCO, Bad Bank europea) ai valori di bilancio, spesso lontani dalle reali previsioni di recupero. Questo tipo di soluzioni, che darà un sicuro sostegno alle banche, non risolverà invece il problema sociale di migliaia di debitori vittime della crisi che difficilmente troveranno le condizioni per una definizione stragiudiziale rapida, ritagliata a partire dalle reali consistenze delle proprie situazioni reddituali e patrimoniali.
Dubito anche che la creazione di una Bad Bank nazionale possa creare le condizioni per un mercato secondario particolarmente vivace. Difatti, se l’acquisto avverrà ai valori di bilancio, la Bad Bank  potrà generare un profitto (o quanto meno non perdere) solo sui quei crediti in cui, grazie al know-how dell’investitore, risulta possibile valorizzare l’asset a garanzia.

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