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I crediti nel settore farmaceutico, una nicchia di forte interesse

La gestione del credito si rivela estremamente complessa anche quando riguarda il settore farmaceutico e la sanità pubblica. Abbiamo approfondito gli effetti dei ritardi nella liquidazione dei crediti vantati dalle farmacie nei riguardi delle ASL con l’avvocato Samuele Barillà, fondatore dello Studio Legale Barillà.

Crediti nel settore farmaceutico, quando a essere in ritardo nei pagamenti è l’ASL

In un periodo in cui l’attenzione alla salute ha raggiunto livelli altissimi a causa della emergenza pandemica da Covid19 col settore della produzione farmaceutica che ha visto fiorire il proprio business, il sistema di distribuzione dei farmaci e i servizi di prossimità sono stati sottoposti ad un eccezionale stress test che ha evidenziato alcune carenze e modificato modelli di business consolidati.

In questo scenario è interessante approfondire le criticità legate al credito che possono colpire i vari player del settore (farmacisti, grossisti e distributori), diversamente coinvolti negli aspetti finanziari relativi ai crediti vantati verso il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), nella sua declinazione territoriale delle ASL. ne abbiamo parlato con l’avvocato Samuele Barillà, fondatore dello Studio Legale Barillà di Bologna che dal 1997 si occupa quasi esclusivamente di diritto farmaceutico, sotto il profilo regolamentare e societario, oltre che del rapporto con il Servizio Sanitario Nazionale.

Avvocato Barillà, lei si occupa di diritto farmaceutico da sempre, come ha visto cambiare questo settore in termini di contenzioso tra farmacie e SSN, ruolo degli intermediari nella gestione finanziaria del credito e criticità che si riversano sull’anello intermedio della filiera dei farmaci, cioè quello del grossista / distributore?

Abbiamo assistito, nel tempo a varie fasi: una prima cronicizzazione dei ritardi nella liquidazione dei crediti vantati dalle farmacie nei riguardi delle ASL che poi si è sostanzialmente risolta.

Vado a memoria, ma mi pare che il ritardo sia passato dai 720 giorni di qualche anno fa, a lassi di tempo decisamente più brevi, anche se il dato non è omogeneo tra le regioni. C’è da dire che questo dipende anche da come si calcola il tempo medio, se dal mese o dall’anno di maturazione.

Oggi si parla di una media di 66 giorni nelle regioni del nord, che aumentano significativamente nel Mezzogiorno.

Un altro fenomeno tipico degli anni scorsi si è di pari passo ridimensionato, quello della finanziarizzazione del credito.

Le farmacie erano in difficoltà nell’ottenere i crediti e si era creato un ampio spazio per le società finanziarie che acquistavano i crediti pro-solvendo e di fatto finanziavano l’attività ordinaria delle farmacie, trattenendo una quota come fee.

La perdita di controllo della situazione finanziaria e delle proprie entrate si accavallava però alla gestione delle dilazioni di pagamento verso i fornitori e in molti casi si creavano problemi di liquidità significativi e proporzionali al giro d’affari complessivo delle farmacie.

Le società di factoring, con la normalizzazione dei tempi di rimborso del credito ASL sono ora confluite in un più ampio ambito bancario e hanno trasformato il loro intervento in un finanziamento per l’acquisto o il miglioramento dell’attività della farmacia.

A garanzia del finanziamento, la farmacia offre il credito vantato nei confronti della ASL.

In questi casi si è generato un ulteriore fenomeno peculiare di questo mercato, quello della competizione dell’istituto finanziario con il distributore, un altro anello strategico della catena che costituisce la filiera dell’approvvigionamento di farmaci per la vendita al dettaglio.

Se la farmacia è inadempiente nei confronti del distributore questi può agire fino a pignorare il credito verso l’ASL, ma questa azione è impossibile se il credito è già offerto a garanzia del finanziamento bancario.

Ho avuto esperienza diretta di casi di questo tipo che sono riuscito ad affrontare e risolvere, ma è certo che rappresentano una ipotesi piuttosto frequente di criticità.

Può chiarirci come gli interventi legislativi sugli interessi moratori hanno modificato questo settore?

Il problema dell’applicazione e calcolo degli interessi moratori in caso di ritardato pagamento è direttamente dipendente dalla definizione del rapporto tra il Sistema Sanitario nazionale e le farmacie, che ha generato non pochi problemi.

Alla base dei contrasti sfociati nelle liti tra farmacie e ASL, c’è la qualificazione dei rapporti che intercorrono tra loro e il dilemma è se si tratti di convenzioni, basate sugli accordi collettivi, o di transazioni commerciali, basate su contratti di natura privatistica.

La regolamentazione del settore, peraltro ha seguito nel tempo percorsi non proprio lineari.

L’esercizio dell’attività della farmacia può avere natura pubblicistica, quale articolazione territoriale dell’attività statuale di tutela della salute dei cittadini o natura imprenditoriale, che si sostiene con mezzi economici propri e persegue finalità privatistiche.

Perdipiù il farmacista, unica figura abilitata a condurre una farmacia, è un libero professionista iscritto ad un albo presso un Ordine professionale.

Da questa definizione discende la riconoscibilità degli interessi al tasso legale o al superiore tasso commerciale, in caso di ritardo nei pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione.

Numerose sentenze sia della Giustizia amministrativa che della Corte di Cassazione si sono espresse riconoscendo alle farmacie gli interessi al solo tasso legale, basando la decisione sulla definizione della natura convenzionale del rapporto che intercorre tra farmacie e ASL/SSN.

La materia ha investito a livello politico l’Unione Europea che l’ha affrontata in termini generali come uno strumento di lotta alle iniquità esistenti, nei diversi paesi tra privati e PA tra cui si svolgano transazioni commerciali.

 Il settore è disciplinato a livello europeo, due direttive comunitarie (la 2000/35/CE e la 2011/7/UE), entrambe riferite esplicitamente alla «lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali», recepite nel nostro Paese, rispettivamente nel 2002 e nel 2012.

Con questa disciplina si prevede la corresponsione di interessi di mora molto più elevati, rispetto al tasso legale, in favore dei privati (tra cui i farmacisti), che subiscano un ritardo nei pagamenti da parte della P.A. (quale il servizio sanitario pubblico).

Se la farmacia non riscuote dall’ASL quanto dovuto potrebbe a sua volta non riuscire a saldare l’importo fatturato dall’azienda che distribuisce i farmaci. Quali sono i problemi generati ai distributori e come questi li affrontano per risolverli?

In parte ho già risposto a questa domanda. È evidente che ogni intoppo nel flusso finanziario della filiera genera problemi su chi sta a valle dell’intoppo stesso.

I distributori che assisto hanno sperimentato con successo il pignoramento delle somme dovute dalle ASL alle farmacie, come dicevo, anche nel caso che queste le abbiano utilizzate come garanzie per ottenere finanziamenti per la propria attività. Non si tratta di soluzioni fantasiose, ma semplicemente di motivare correttamente le richieste inoltrate alla magistratura e di conoscere in ogni dettaglio il funzionamento del flusso che circonda la circolazione dei medicinali e i soggetti che compongono questo circuito.

Esistono particolarità nel contenzioso esecutivo legate alla natura della farmacia? In particolare, i crediti che le farmacie vantano nei riguardi delle ASL sono pignorabili?

La Corte di Cassazione quando ha affrontato il tema ha argomentato letteralmente che il «farmacista è direttamente e specificamente inserito nel servizio sanitario nazionale, come suo segmento». Questo vale entro i limiti della dispensazione dei farmaci di fascia A, come vengono chiamati quelli a carico del SSN per i quali vige l’obbligo di prescrizione medica, ma porta almeno due conseguenze generali:

– da un lato, le norme che dovessero limitare la pignorabilità delle rimesse finanziarie al SSN potrebbero rendere, per i terzi, altrettanto impignorabili i crediti vantati dalle Farmacie nei confronti delle ASL, quali articolazioni territoriali del SSN;

– dall’altro, la convinta attribuzione della qualità di servizio pubblico alla farmacia potrebbe attrarre la professione di farmacista tra i contraenti dello Stato, con la conseguenza che si applicherebbero anche le previsioni che tutelano dall’inadempimento di contratti di pubbliche forniture.

Ci può chiarire quando il distributore entra in gioco e perché, dipende anche dalla categoria di farmaco di cui stiamo parlando, è corretto?

SB: «La distribuzione dei farmaci in Italia è prevista con tre diverse modalità:

  • Diretta (DD);
  • DPC (distribuzione per conto);
  • Convenzionata.

Nel primo caso (modalità diretta), il Servizio Sanitario Nazionale acquista direttamente il farmaco dall’industria farmaceutica e lo distribuisce attraverso ospedali o ASL ai pazienti.

Una particolare modalità di distribuzione diretta si basa su un accordo che intercorre tra Regione/ASL/Distributori intermedi e Farmacie convenzionate (distribuzione per conto): in tal caso i farmaci vengono acquistati dalla ASL/Regione ma distribuiti al paziente, per loro conto, dalle farmacie territoriali aperte al pubblico.

Entrambe le modalità di distribuzione dirette sono caratterizzate dal medesimo sistema di acquisto dei prodotti medicinali, cioè tramite le gare ad evidenza pubblica che consentono un abbattimento dei costi economici connessi grazie agli sconti che le aziende fornitrici industriali assicurano per ottenere la fornitura.

La differenza tra DD e DPC consiste nella remunerazione del servizio dispensativo da parte delle farmacie aperte al pubblico che viene definito dagli specifici accordi regionali tra le organizzazioni sindacali delle farmacie stesse e le Regioni.

Il distributore entra in gioco negli ultimi due casi, procurando il farmaco alla farmacia.

Quel che varia è la sua remunerazione, in quota fissa per confezione con la DPC, in quota percentuale sul prezzo del farmaco con la distribuzione convenzionata.

Ovviamente, in una materia così delicata, prezzi e remunerazioni sono frutto di accurati processi normativi.

Il distributore a sua volta è tenuto al rispetto di numerose norme che comprimono la sua libertà imprenditoriale (quantitativi in magazzino, tempi e modi di consegna e molto altro), e per di più su questo si abbatte quello che -a mio parere- è un flagello, cioè la burocratizzazione regionale della sanità. Il risultato è che anche su questo ogni Regione, spesso ogni Provincia, fa a modo suo».

Si stanno imponendo due diversi modelli di gestione della filiera l’uno noto come «Modello Lombardia» e il «Modello Emilia Romagna», può dirci che impatto avrebbero questi modelli sulla gestione del credito?

In Emilia-Romagna da tempo è in atto una spinta espansiva in favore della distribuzione diretta e per conto, ovvero verso un modello pubblico a scapito del privato.

Se poi pensiamo all’attuazione delle case di comunità accelerata dai fondi PNNR, anche se il modello non è ancora ben definito, ecco che la critica che si può fare a questa scelta complessiva è che comprima eccessivamente i margini della farmacia privata e del distributore.

La Lombardia invece continua a consentire un mix che coinvolge tutti e si rivela più equilibrato.

Le conseguenze sul mercato del credito sono evidenti, se prevalesse il modello Emilia Romagna, gli scambi sarebbero semplicemente ridotti al lumicino o addirittura azzerati.

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