Anche se una nuova crisi legata al prezzo del petrolio appare poco probabile, è consigliabile essere pronti a diverse possibilità.
Negli ultimi giorni, l’impennata del prezzo del petrolio causata dall’escalation della crisi in Medio Oriente è durata poco, lasciando spazio a un calo delle quotazioni. Attualmente, il prezzo del greggio WTI è scambiato intorno ai 74 dollari al barile (73,51 mentre scriviamo), in discesa rispetto ai massimi raggiunti subito dopo l’attacco del 1° ottobre dell’Iran a Israele. Tuttavia, rimane ben lontano dai picchi di 116 dollari al barile osservati durante la crisi ucraina. Questa reazione relativamente calma del mercato suggerisce che gli investitori non prevedono conseguenze drastiche sull’offerta di petrolio che potrebbero condurre a una nuova crisi energetica.
Perché una nuova crisi petrolifera è poco probabile
L’agenzia di analisi indipendente Morningstar è tra coloro che ritengono improbabile una crisi petrolifera di grande portata. Essa evidenzia come il contesto attuale sia profondamente diverso rispetto a situazioni come la crisi del 1973. Oggi, l’OPEC svolge un ruolo attivo nel mantenere stabile il prezzo del petrolio, e gli Stati Uniti sono diventati il più grande produttore mondiale, riducendo notevolmente la loro dipendenza dal petrolio mediorientale. Inoltre, l’economia globale è ora meno vulnerabile agli shock petroliferi rispetto al passato, grazie a una minore dipendenza energetica del settore industriale.
Morningstar sottolinea che, in caso di interruzioni dell’offerta, la produzione mondiale potrebbe aumentare in tempi relativamente brevi, riducendo gli impatti negativi. L’Arabia Saudita, ad esempio, potrebbe facilmente colmare un eventuale deficit di produzione iraniana. La rivalità storica tra Iran e Arabia Saudita rende improbabile che Riyadh intervenga con tagli alla produzione per favorire Teheran, poiché ciò danneggerebbe i suoi principali partner commerciali, come la Cina.
Le prospettive di crescita del prezzo del petrolio
Nonostante la stabilità attuale, alcuni esperti, come Maurizio Mazziero, analista finanziario, non escludono che la situazione possa peggiorare. Mazziero ipotizza diversi scenari per l’andamento del prezzo del petrolio a seconda dell’evoluzione del conflitto. Un’escalation prolungata potrebbe far salire i prezzi tra 80 e 90 dollari al barile, seguita da un ritorno graduale verso i 70-80 dollari grazie all’aumento dell’offerta da parte di altri produttori.
In uno scenario più drastico, come un blocco temporaneo dello Stretto di Hormuz, i prezzi potrebbero toccare livelli molto più elevati, tra 100 e 150 dollari al barile. Tuttavia, Mazziero osserva che un intervento rapido da parte delle forze internazionali, come la flotta statunitense in zona, ridurrebbe probabilmente l’impatto di un tale evento.
Effetti su altre materie prime e sull’inflazione
L’eventuale aumento del prezzo del petrolio avrebbe implicazioni su altre commodity e sull’inflazione globale. L’energia più costosa causerebbe un incremento dei costi di produzione per beni di prima necessità, come gli alimenti, oltre a influenzare i prezzi di altre materie prime come rame, metalli preziosi e agricoli. Un rialzo dei prezzi energetici potrebbe alimentare l’inflazione, soprattutto nei Paesi con economie più dipendenti dal petrolio, costringendo le banche centrali a intervenire con politiche monetarie restrittive, come l’aumento dei tassi di interesse.
Secondo il Fondo Monetario Internazionale, un aumento del 15% del prezzo del petrolio potrebbe portare a un incremento dello 0,7% dell’inflazione in Europa, oltre a minare la fiducia delle imprese e rallentare gli investimenti.
Opportunità per gli investitori
Per gli investitori, le fluttuazioni del prezzo del petrolio offrono opportunità di ribilanciamento dei portafogli, con un maggiore focus sui titoli energetici. Tuttavia, Morningstar avverte che non tutte le aziende del settore energetico trarranno ugualmente vantaggio dall’aumento dei prezzi. Le società attive nel trasporto e nello stoccaggio del greggio, ad esempio, non sono direttamente esposte alle variazioni del prezzo della materia prima. Pertanto, gli investitori potrebbero trovare opportunità migliori nelle compagnie produttrici di petrolio, come ExxonMobil e Chevron, che secondo l’agenzia di analisi risultano più solide e con valutazioni di mercato più vantaggiose rispetto alle aziende europee.
Impatto sull’inflazione e le politiche monetarie
Con molte probabilità solo un aumento sostenuto del prezzo del petrolio oltre i 120-130 dollari al barile potrebbe spingere l’inflazione globale a livelli tali da giustificare una risposta drastica delle banche centrali, come l’interruzione dei tagli dei tassi d’interesse. Tuttavia, si può ragionevolmente dire che gli attuali rialzi non saranno sufficienti per innescare un’inversione di tendenza significativa nelle politiche monetarie.
In conclusione, il futuro del prezzo del petrolio rimane incerto (come sempre…), ma l’attuale contesto geopolitico ed economico suggerisce che un nuovo shock petrolifero globale è poco probabile, almeno nel breve termine. Tuttavia, gli investitori devono essere pronti ad affrontare eventuali aumenti dei prezzi e a rivedere le loro strategie di investimento.