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Il punto di equilibrio

Gli NPL ceduti dalle banche finiscono sul mercato e si segnalano pratiche di recupero aggressive, nei confronti di aziende  e famiglie, che innescherebbero un rischio usura. Ma le buone pratiche individuate in questi anni pagano e mettono tutti al sicuro dagli abusi.
È di moda dirlo e scriverlo: troviamo una soluzione win-win.
Inglese facile, elementare, per chiunque. Nell’ambito di un accordo, una transazione, un’offerta, si tratta della proposta che lascia il dolce in bocca a tutti. Quella in cui tutti “vincono”, le controparti giungono a una sapiente intesa la quale, tanto o poco, individua e promette un guadagno per ognuna delle entità coinvolte.
Un’altra espressione integrata da un acronimo inglese che avrete tutti più o meno usato, sentito o letto di recente (un bel po’ anche in queste pagine). Accennare ai Non Performing Loan, i crediti deteriorati, non è però un vezzo da markettari incalliti o bocconiani in cerca d’attenzione. L’epopea delle sofferenze non esigibili ha fortemente impresso il suo ritmo narrativo alla storia recente degli istituti di credito italiani e ha generato autentici rischi sistemici per l’apparato bancario tutto, cioè la serie di pilastri su cui si regge l’economia del Paese.
E se fino a ieri la trama vedeva, dopo tante traversie, in apparenza solo vincitori, oggi tintinna qualche campanello d’allarme. Forse la situazione si è attorcigliata in uno scenario è win.win-lose. O win-win-win-lose. E a perdere in questo caso sembrano essere il risparmiatore tipo o la piccola azienda.
Brevissima, doverosa e generalissima sintesi di una storia lunga e complessa. Le banche avevano in pancia quantità pericolose di NPL; le autorità europee con una serie di provvedimenti hanno incitato o costretto gli istituti a liberarsene; sono entrati in gioco, quindi, soggetti terzi (i cosiddetti servicer), fondi o altro, che, pagando una percentuale del valore dei crediti, ai precedenti possessori, se ne son fatti carico, con l’evidente e sacrosanta intenzione di riscuoterli.
In apparenza, quindi, tutti contenti. Istituzioni comunitarie, che intravedono nuova stabilità nel sistema; istituti che sbolognano un problema, risanano i bilanci e ricavano anche qualche spicciolo (miliardi) magari ormai dato per perso; servicer che si aspettano un guadagno, lauto o risicato ma concreto.
I numeri parlano chiarissimo, li abbiamo citati più volte anche in questa stessa rubrica: gli NPL detenuti dalle banche sono diminuiti in progressione aritmetica negli ultimi anni. Ma se un bel gruzzolo di sofferenze va ricondotto a esposizioni di grandi gruppi finanziari, commerciali, industriali, a soggetti “protetti”, grazie al loro peso specifico, da azioni di forza repentine, lo stesso non si può dire per i singoli risparmiatori o le imprese di piccole dimensioni, a cui fa capo un’altra bella parte dei rapporti ora sul mercato.
E qui iniziano i dolori, perché più voci oggi avvertono che le pratiche di recupero adottate dagli acquirenti i portafogli, in questi casi, vanno spesso per le spicce, assai più di quanto ci si attendesse magari dagli stessi istituti di credito.
A suonare la sveglia, tra gli altri, è Lando Maria Sileoni, di FABI: “In Italia i tempi di recupero crediti delle società specializzate sono troppo veloci, da qui i pericoli per i titolari delle sofferenze di venire strozzati, con il serio rischio di finire, per disperazione, nelle mani degli usurai e della criminalità organizzata”.
Aziende e famiglie, in poche parole, sarebbero a rischio “usura”, pena conti bloccati e “svendite” obbligate di beni e cespiti per far fronte alle richieste del recupero.
Si tratta di una prospettiva reale?
Da specialisti e da osservatori del settore, noi ci sentiamo di poter rassicurare tutti (ovviamente nei limiti della nostra esperienza e dei dati a nostra disposizione). Si tratta, certo, di una situazione in parte inedita, che va definendosi ed evolvendosi oggi per la prima volta, ed è in cerca di un proprio equilibrio. Ma siamo consapevoli di aver lavorato bene, ormai da diverso tempo. Abbiamo operato in sinergia per assicurare l’attuazione sempre più condivisa e il consolidamento di buone pratiche, come operatori singoli, come  aziende specializzate, come associazioni di categoria. I tavoli di consultazione con gli organismi dei consumatori, il dialogo, lo sforzo di trovare sempre più spazi per la mediazione e la risoluzione equa anche delle situazioni più ingarbugliate e conflittuali hanno portato fino a oggi ottimi risultati, spesso migliori delle attese. Non c’è niente all’orizzonte di diverso da quanto abbiamo discusso in questi anni, non buttteremo all’aria un lavoro prezioso di “armonizzazione” tra le esigenze di tutti i protagonisti, perché magari pressati da clienti più esigenti del solito.
Equilibrio è la parola giusta: le buone pratiche e la considerazione di ciascuna posizione pagano, l’abbiamo dimostrato. Non lo dimentichiamo e non ci faremo spaventare da parole come “deteriorato”, “inesigibile”. In molti stanno ancora trattenendo il respiro, nelle more di una crisi che non finisce. Usiamo il guanto di velluto che abbiamo faticosamente cucito: ne guadagneranno tutti. Win-win, con equilibrio.

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