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Curare la giustizia guarisce l’economia

La riforma Cartabia va nella direzione giusta. Fiducia nei tribunali, certezza e rapidità delle sentenze favoriscono investimenti e influiscono positivamente anche sulla crescita dimensionale delle imprese

Nuntio vobis gaudium magnum. Habemus riforma della giustizia.

Ebbene sì, o almeno così pare. In ciò che non poterono decenni di riflessioni sulla “civiltà” del diritto o sul danno provocato a sviluppo ed economia da un sistema lento e bloccato, oltre a reiterate raccomandazioni e intimazioni delle autorità comunitarie, sembrano essere riusciti la coppia Mario Draghi- Marta Cartabia e le condizioni poste dall’Unione Europea sui fondi stanziati per il post-covid (quindi sull’ossigeno stesso per l’Italia). Tra le quali, appunto, lo snellimento e la modernizzazione dei processi.

Potremmo dilungarci in alte giubilazioni per il risultato ottenuto, invero assai poco straordinario, se confrontato a quanto già in essere da anni nei Paesi con i quali amiamo raffrontarci. Invece preferiamo proporre qualche considerazione molto pratica sui numeri, sulle previsioni, su ciò che fu e su quello che potrebbe aspettarci. Naturalmente dal punto di vista che ci è più vicino e congeniale, ovvero quello dell’impatto sul sistema economico italiano del nuovo complesso di norme e relazioni, ormai abbastanza delineato anche se non confermato e vidimato in ogni sua parte.

Quanto vale, in generale, per l’organismo Italia, una giustizia che funzioni in tempi accettabili?
Sono stime prudenti, quelle avanzate nel Pnrr stesso, ma già in grado d’impressionare: mezzo punto di Pil. Si tratta naturalmente della proiezione sul lungo periodo. Nel dettaglio, riforma del processo civile, del diritto penale e dell’ordinamento giudiziario dovrebbero far guadagnare lo 0,2% nel 2026 e 0,4 a dieci anni.

Idem per quanto riguarda i consumi, mentre, spostando la lente sugli investimenti, la progressione sarà un po’ più lenta, ma gratificata dagli stessi valori: 0,1% in più al 2026, 0,3% a 10 anni e 0,5% a regime.

Come accennato in apertura, è l’uovo di Colombo. I processi eterni, la mancata certezza del diritto scoraggiano sia le imprese straniere che, soprattutto, quelle di casa nostra.

Tra gli altri dati snocciolati nel Pnr, colpisce anche quest’ultimo: “una riduzione della durata dei procedimenti civili del 50% può accrescere la dimensione media delle imprese manifatturiere italiane di circa il 10%”.

Quindi una giustizia più efficiente non si limita a far avanzare consumi e investimenti, ma fa lievitare la produttività e persino può far diventare un po’ più grandi le piccole imprese. Il nanismo delle aziende italiane, lo sappiamo bene, è un altro tra i grandi scogli strutturali sui quali le prospettive si arenano sempre, di fronte ai Paesi nostri competitor, caratterizzati da maggior dimensione media delle imprese.

In conclusione: per l’Italia queste riforme, che giungono in estremo ritardo, sono indispensabili. E non solo per invertire la generale sfiducia da parte della società civile, prima ancora che degli investitori, verso il sistema giudiziario, ma perché la situazione protrattasi fino ad oggi ha effetti pesantemente negativi sulla vita economica.

E allora, dal nostro punto di vista, avanti così. Non sarà una rivoluzione né la riforma più perfetta e completa del mondo e della storia, probabilmente, ma per noi, che ogni giorno ai tribunali chiediamo certezze, e per tutto l’humus produttivo italiano è acqua di sorgente.

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