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Npl, cessione a terzi dei portafogli con revoca del mandato alle società di recupero. Il parere dell’avv. Guido Alpa

Unirec si affida al parere del prof. avv. Alpa che ha effettuato una puntuale analisi della problematica, suggerendo le modalità con le quali integrare efficacemente i contratti tra le mandanti e le agenzie di recupero mandatarie

Il mercato secondario degli NPL nell’ultimo quinquennio si è considerevolmente sviluppato, aprendo nuovi scenari e prospettive. Tuttavia a questo non si è affiancata una altrettanto sviluppata e adeguata normativa in grado di disciplinare alcuni aspetti dell’attività svolta dai servicer e da coloro che acquistano crediti. Tra questi si evidenzia la difficoltà di comprendere cosa accada e quale disciplina vada applicata qualora la società committente ceda a terzi soggetti i portafogli di crediti affidati, con la contestuale revoca del mandato alle agenzie di recupero crediti.
Sollecitata dai propri Associati, l’Unione Nazionale delle Imprese a tutela del Credito (UNIREC) ha deciso di affidarsi al parere del Prof. Avv. Guido Alpa, Ordinario di diritto civile presso l’Università ”La Sapienza” di Roma e già Presidente del Consiglio Nazionale Forense, che ha effettuato una puntuale analisi della problematica, suggerendo le modalità con le quali integrare efficacemente i contratti tra le mandanti e le agenzie di recupero mandatarie.

Il Prof. Alpa ha analizzato la normativa di riferimento giungendo alle seguenti conclusioni.

Il Codice Civile, sub art. 1373 prevede la facoltà, per le parti del contratto, di recedere unilateralmente, contemplando in particolare due ipotesi:
a) che il contratto (ad esecuzione istantanea) non abbia ancora avuto esecuzione ed in tal caso la facoltà di recesso può essere esercitata “finché il contratto non abbia avuto un principio d’esecuzione”;
b) che l’esecuzione del contratto, ma soltanto se continuata o periodica, sia iniziata, ed in tal caso “il recesso non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso d’esecuzione”.

Con particolare riguardo alla disciplina del mandato, l’art. 1723 c.c., al 1° c. prevede che il mandante possa revocare il mandato ma, se ne era stata pattuita l’irrevocabilità, risponde dei danni salvo che ricorra una giusta causa. In sostanza, tale norma stabilisce, di regola, la libera revocabilità del mandato, mentre l’irrevocabilità costituisce l’eccezione.

L’art. 1725 c.c., poi, prevede l’ipotesi della revoca del mandato oneroso e dispone che la revoca del mandato conferito per un tempo determinato o per un determinato affare obblighi il mandante a risarcire i danni se è fatta prima della scadenza del termine o del compimento dell’affare, salvo che ricorra una giusta causa. Se invece il mandato è a tempo indeterminato, la revoca obbliga il mandante al risarcimento, qualora non sia dato un congruo preavviso, e sempre salvo che ricorra una giusta causa.

Il Prof. Avv. Guido Alpa si è quindi espresso relativamente alla nozione di giusta causa.

A questo punto – spiega Alpa – occorre osservare che, in considerazione dei principi affermati dalla dottrina e dalla giurisprudenza, non possa costituire una giusta causa ai fini del recesso unilaterale la cessione dei crediti da parte delle società mandanti: si tratta, in sostanza, di una situazione, peraltro del tutto imprevedibile, che non dipende dalla condotta del mandatario e/o che, comunque, non trova la sua causa in fatti pregiudizievoli per gli interessi del mandante. La cessione del credito da parte della società mandante e, di conseguenza, la revoca del mandato in capo alla società mandataria risponde, invece, esclusivamente ad una scelta della prima, che cagiona tuttavia un pregiudizio alla seconda.

Infine il Prof. Avv. Guido Alpa ha distinto i casi in cui nel contratto sia prevista o meno la facoltà di recesso unilaterale della società mandante.
Alpa specifica che laddove il contratto di mandato non preveda la facoltà di recesso da parte del mandante, e in mancanza di giusta causa, il mandatario danneggiato avrà diritto ad essere risarcito dei danni subiti.
Nell’ipotesi in cui il contratto contenga, invece, la previsione circa la facoltà di recesso per la mandante, occorre osservare, in primo luogo, che una tale clausola rientra nell’elenco delle clausole che, ai sensi dell’art. 1341, 2° comma c.c., dovrebbero, a pena di inefficacia, essere specificamente approvate per iscritto. Di conseguenza, laddove il contratto di mandato al recupero dei crediti contenga la previsione della facoltà di recesso in capo alla sola parte mandante, e ove tale clausola non sia stata negoziata tra le parti, è richiesta la sua approvazione specifica per iscritto. In mancanza, la clausola è da considerarsi priva di effetto, con la conseguenza che potrà farsi, dunque, applicazione della disciplina di cui all’art. 1725, 1° comma c.c. e che, quindi, in caso di recesso senza giusta causa della società mandante, la società mandataria avrà diritto a essere risarcita dei danni subiti.

Pertanto, suggerisce il parere, la facoltà di recesso ad nutum in capo alla mandante dovrebbe essere oggetto di negoziazione ed eventualmente – considerata la posizione di debolezza delle società mandatarie, rispetto a una tale evenienza, peraltro del tutto imprevedibile – causa del riconoscimento di un indennizzo, c.d. Termination Cost, volto a coprire il rischio di una tale eventualità e comprensivo, dunque, di una porzione dell’eventuale mancato guadagno conseguente all’esercizio della facoltà di recesso.

Il parere completo è consultabile al seguente link

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